ROBERTO VILLA E PIER PAOLO PASOLINI
da “I DIARI DI CINECLUB, n.77, novembre 2019 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)
di Giorgia Bruni
Fotografo sul set de Il Fiore delle mille e una notte di Pier Paolo Pasolini, Roberto Villa nasce a Genova il 21 settembre del 1937.
Nel 1957, dopo aver conseguito una laurea in elettronica, fonda la società Audio Visual Communication con il duplice obiettivo di unire la prassi allo studio, approfondendo i processi della comunicazione audiovisiva con la creazione di una vera e propria didattica dell’informazione trasmessa dalle immagini e dai suoni, e lavorando attivamente nel campo fotografico e pubblicitario.
L’amore per la ricerca, insito nel suo spirito, lo conduce a realizzare alcuni lavori sulle teorie dell’audiovisivo al fianco di Bruno Munari e Marcello Piccardo e allo studio di computergrafica negli Stati Uniti, presso l’Istituto di Tecnologia del Massachussets (MIT).
Il biennio 1966-1969 lo riconvoca alla natale città ligure in veste di direttore della Galleria d’arte d’avanguardia Carabaga; il medesimo arco temporale vede nascere le sue prime collaborazioni con il mondo televisivo e, nel 1967, Villa inizia a dedicarsi alla fotografia: ambito in cui raggiunge l’affermazione raccogliendo un successo immediato.
Nel 1969, diviene direttore artistico della rivista Fotografiamo e nei primi anni settanta collabora con periodici del calibro di Vogue, Playboy, Photo Magazine, Photo13, National Geographics.
Nel 1973 Pier Paolo Pasolini lo invita sul set de Il Fiore delle mille e una notte per immortalarne le riprese. Roberto Villa segue il “Poeta delle Ceneri” in Oriente dove cattura luci, sguardi, movimenti e, forse in quel momento non pienamente consapevole, si rende custode e autore di un patrimonio culturale inestimabile.
L’intervista
Come ha conosciuto Pier Paolo Pasolini?
Nel 1972 durante un convegno nel quale si parlava di come tagliare i film in TV per inserire la pubblicità. Allora, per i neo produttori TV, il problema non era infastidire lo spettatore ma non perdere la pubblicità. Finito il convegno gli chiesi se avesse avuto tempo e piacere di parlare dei problemi di linguaggio nel Cinema (com’è noto scrisse molti saggi sul tema e si confrontò con molti illustri specialisti dell’epoca). Mi disse di sì aggiungendo che, però, di lì a poco sarebbe dovuto partire per il Medio Oriente per girare un film.
La cosa doveva essergli però piaciuta così tanto che, quasi fra sé e sé, ma ad alta voce disse: «Però, se vuoi, posso dire alla produzione che c’è un fotografo sul set.». Qualche tempo dopo partii anch’io per raggiungere la troupe ad Aden. Enzo Ocone, qualche tempo fa, mi disse «Se fosse vivo Pier Paolo probabilmente sarei morto io.». Ironizzava alludendo alla precisione con cui era solito operare Pasolini.
Anche con lei era molto esigente? Com’era il vostro rapporto?
Era sempre molto disponibile ed avevo la possibilità di fare qualsiasi cosa, ma la mia presenza era motivata da un dibattito in corso: il processo linguistico del cinema. Pier Paolo Pasolini portava avanti la sua teoria del Cinema come linguaggio della realtà. Io invece lo intendevo come sistema linguistico che faceva riferimento sia al rigore della linguistica sia alla teoria dell’informazione che tende a ridurre a zero le ambiguità nella comunicazione.
Com’era Pasolini sul set e qual era il rapporto che aveva con gli attori de Il Fiore delle mille e una notte?
Non ha mai creato alcun problema, anzi, c’era un’atmosfera di grande cameratismo. Scontrarsi con Pasolini era impossibile: era la gentilezza in persona, sempre. Non è mai accaduto nulla nel senso più assoluto. Non era una persona cupa come molti credevano o pensavano, ma quando lavorava si concentrava al tal punto da risultare sempre molto serio. Pasolini sul set era molto concentrato sulle pagine del suo copione. Invidiava ai locali la loro “purezza” che sperava non inquinata dai modelli della “civiltà dei consumi”. Quella che aliena davanti alla “moda” o ai rituali del consumo occidentale. Al ritorno, a chiusura dei lavori cinematografici e delle riprese, una selezione di 400 immagini fu mostrata a Pasolini il quale, stupito, commentava i bei colori, i bei posti, come se non li avesse mai visti. Si complimentò con sincerità.
Qual è l’ultimo ricordo che ha di Pier Paolo Pasolini?
L’ho incontrato a Cinecittà per il rifacimento di una scena che, per problemi dovuti al deterioramento della pellicola, forse esposta al troppo caldo, ha dovuto essere rifatta. Ho portato a Pier Paolo un book con 20 pagine di 20 diapositive, per un totale di 400 diapositive. Mentre Pasolini le guardava con attenzione, ogni tanto osservava: «che bei posti», «che bei colori» con la sua voce autenticamente ingenua e meravigliata. Alla fine della visione ha aggiunto: «Hai realizzato un film che non conoscevo!»
Avevate altri progetti in cantiere da realizzare?
Non ne ho mai parlato, ma avrei desiderato realizzare un progetto su Cielo D’Alcamo, in modo particolare mi affascinava l’idea di lavorare sul componimento Contrasto.
Ricorda qualche aneddoto in particolare?
In una circostanza ho risolto problemi tecnici che erano sfuggiti a Pier Paolo e che la reverenza che avevano verso di lui aveva trattenuto tutti dal fargli notare. Durante una ripresa sul piazzale della Moschea del Venerdì, ad Esfahan. Questa stava per passare al 43º ciak quando mi avvicinai a Pier Paolo, accanto alla cinecamera, dicendogli: «Pier Paolo, hai notato che, quando l’attore raggiunge il punto in cui deve fermarsi, si alza in punta di piedi e poi ricade?». Mi guardò perplesso e poi, rivolgendosi agli assistenti, con tono stupito e interrogativo disse: «Perché non mi avete detto niente? Ecco perché, ad un certo momento, mi usciva dall’inquadratura!». La 43º ripresa fu quella giusta! A parte questo, lo “scambio” con Pier Paolo era costante. Quello per cui, di fatto, ero là era il problema del linguaggio cinematografico a cui eravamo entrambi interessati.
Nel 2008 Roberto Villa ha donato il suo prezioso archivio alla Cineteca di Bologna.
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