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CINEMA E NETFLIX

di Alberto Castellano

da “I DIARI DI CINECLUB, n.66, novembre 2018 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)

Ma quanto è bello andare a polemizzare

L’Italia è uno strano paese che ogni tanto ha bisogno di trovarsi un nemico da combattere, un bersaglio da colpire, qualcuno insomma sul quale addossare responsabilità di vario tipo per mascherare o eludere le nostre défaillances, la nostra miopia, la nostra incapacità di operare in maniera concreta e positiva. Naturalmente anche il cinema non è esente da questa “patologia” e in questo periodo nell’occhio del ciclone è finita Netflix.

Netflix, la piattaforma che esiste dal 1997 come attività di noleggio di DVD e videogiochi (poi dal 2008 l’azienda ha attivato un servizio di streaming online on demand, accessibile tramite un apposito abbonamento, che è divenuto presto il suo campo d’attività principale), ma che pare solo adesso molti stiano scoprendo grazie anche alla supplementare pubblicità che le recenti vicende di Cannes e Venezia hanno contribuito ad alimentare.

In realtà non è un caso che l’impennata dell’attenzione dei Festival e dei media verso Netflix c’è stata dall’inizio del 2016 quando l’azienda ha fatto sentire il suo peso di diffusione e mercato con l’estensione dello streaming a 190 paesi con 74 milioni di clienti in tutto il mondo e alla fine dello stesso anno con circa 100 milioni di abbonati trascinati dall’on demand e utili pari a 188 milioni. Insomma un nuovo colosso che fa tremare la consolidata industria del cinema e dell’audiovisivo soprattutto da quando ha ampliato sempre di più la produzione di film e serie tv di vario genere con strategie lungimiranti e determinazione progettuale.

È proprio nel contesto dei due maggiori festival che sono scoppiate le polemiche. Alla vigilia dell’evento della Croisette non sono mancati scambi di accuse quando si prospettava la possibilità di film targati Netflix di partecipare al concorso. E il braccio di ferro tra Netflix e il Festival di Cannes, che ha modificato il regolamento per il 2018 escludendo tutte le pellicole prive di una distribuzione nelle sale francesi, si è concluso con dichiarazioni dure dell’executive di Netflix Ted Sarandos nonostante il direttore del Festival Thierry Fremaux avesse lasciato una porta mezza aperta per il fuori concorso.

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“Roma” (2018) di Alfonso Cuarón, vincitore del Leone d’oro alla 75ª Mostra di Venezia. La pellicola verrà distribuita su Netflix a partire dal 14 dicembre 2018 mentre in Italia uscirà anche in alcune sale cinematografiche selezionate.

E se si aggiunge la dichiarazione di Will Smith membro della giuria di Cannes 2017 dove erano presenti alcuni titoli targati Netflix “Ho tre figli che vanno al cinema due volte alla settimana e guardano Netflix, scoprono delle pellicole che altrimenti non avrebbero potuto vedere. Ha allargato la loro globale conoscenza cinematografica”, si percepisce la miopia di Fremaux e di tutti quelli che la pensano come lui. Miopia che non ha mostrato il Direttore della Mostra del Cinema di Venezia Alberto Barbera, uomo di cinema intelligente, duttile e lungimirante, che non ha esitato a mettere in programma proprio due film bloccati da Cannes: Roma di Cuarón (in concorso) e The Other Side of the Wind, l’incompiuto di Welles, come evento speciale.

E la scelta si è rivelata felice oltre le aspettative visto che Roma ha vinto il Leone d’Oro e il documentario sul film di Welles ha catalizzato l’interesse della cinefilia più sofisticata, ma naturalmente ha ulteriormente ringalluzzito i cinefili più militanti e i patetici agit-prop della distribuzione e dell’esercizio. Netflix era presente al Lido anche con 22 July e The Ballad of Buster Scruggs e altri due fuori concorso They’ll Love Me When I’m Dead e Sulla mia pelle il film di Alessio Cremonini, con Alessandro Borghi, che ripercorre la vicenda di Stefano Cucchi uscito poi in contemporanea il 12 settembre sia al cinema che sulla piattaforma.

Alla levata di scudi delle due maggiori associazioni di esercenti (l’Anec, Associazione nazionale esercenti cinema e Anem, quella dei multiplex) che hanno protestato per la decisione del direttore di Venezia di accettare in concorso e in altre sezioni della Mostra produzioni destinate non esclusivamente al grande schermo, visibili in contemporanea al cinema e su altri mezzi, hanno replicato a caldo Barbera: “Il compito di un festival è promuovere buoni film, il resto spetta ai distributori” e di Andrea Occhipinti di Lucky Red: “Crediamo in un pubblico che voglia vedere i film al cinema, il vero nemico è la pirateria”.

Oltre tutto già a fine agosto Netflix smentendo i catastrofisti, ha annunciato l’intenzione di far uscire Roma nelle sale di alcuni paesi contemporaneamente o addirittura prima della diffusione sulla piattaforma il 14 dicembre. Un altro vero problema è che serve la benedizione delle giurie di Cannes o degli Oscar per acquisire un “bollino di qualità” utile all’acquisizione di nuovi abbonati, soprattutto sul mercato internazionale. Comunque la battaglia è culturale e il dibattito rimane più che mai aperto ma si tratta anche dello scontro tra due modelli industriali dell’entertainment: il mondo “tradizionale” centrato su un sistema di produzione e distribuzione che fa perno sull’uscita nelle sale, di cui Cannes è portabandiera e il modello Usa-centrico di streaming adottato da Netflix (e in maniera meno radicale da Amazon) che salta il passaggio nei cinema.

Questa ricostruzione può servire se non altro a riportare la polemica nella giusta dimensione di due differenti “filosofie”, a individuare le reali coordinate di un mercato che cambia, a chiarire come meglio non si potrebbe con le parole di alcuni direttori di festival, produttori, distributori quali sono i veri termini della questione, a non farsi prendere la mano dai preconcetti e da finti idealismi. Le battaglie di principio o “ideologiche” non portano da nessuna parte, non hanno uno sbocco costruttivo se non sono supportate da dati reali e da una più precisa contestualizzazione.

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“The Other Side of the Wind” (L’altra faccia del vento) è un film incompiuto di Orson Welles, girato tra il 1970 e il 1976 insieme a registi ed amici quali Peter Bogdanovich, John Huston, Norman Foster, Susan Strasberg, Oja Kodar e Joseph McBride. Nel 2017 Netflix ha acquistato i diritti per la distribuzione.

L’anello debole della posizione contro di critici impaludati, opinionisti buoni per tutti gli usi, intellettuali che osservano il mondo dalla (loro)”finestra”, di esercenti e distributori che fanno una battaglia corporativa è che si gira ancora intorno al problema dei “luoghi” del cinema, si fa una anacronistica difesa ad oltranza della “centralità” della sala che non c’è più come luogo aggregante sia da punto di vista della “magia” mitopoietica sia come spazio fisico di incontro e scambio di opinioni. Figuriamoci. Sono tanti gli schizzinosi e nostalgici che non vogliono rassegnarsi al fatto che oggi il film “tosto” d’autore lo si può (potrebbe in molti casi perché gli esercenti complici questi signori non li programmano) vedere tranquillamente nella sala a schermo gigante e alta risoluzione di una multisala senza soffrire come si faceva una volta.

Sono molti tra questi “predicatori” che per primi disertano le sale. Quindi è tutto da dimostrare che le piattaforme digitali in streaming come Netflix o Mymovies (che però diffonde i film solo dopo l’uscita nelle sale) sottraggono pubblico al normale circuito. Quale pubblico poi? Perché non vanno a controllare gli incassi di molti film importanti programmati prima o esclusivamente nelle sale per i quali quindi non c’è questo problema (e qui l’elenco sarebbe interminabile)?

Si accorgeranno che si tratta di cifre e percentuali disastrose, di tristi situazioni nelle quali le maschere fanno la conta dei pochi coraggiosi. Chi come me frequenta le sale napoletane a tutto campo ha una verifica quotidiana di questo crollo. Certo Napoli è una piazza difficile e distratta, ma pur sempre un campione parziale attendibile di un trend nazionale. In quanto le associazioni degli esercenti farebbero bene ad occuparsi meglio della programmazione più equilibrata, della più giusta collocazione dei vari prodotti in sale e orari più adeguati, di mettere appunto nuove strategie del rapporto tra esercizio e distribuzione.

Insomma la desertificazione delle sale e la diaspora del pubblico sono diventati allarmanti e non vorremmo che l’ennesimo “caso” all’italiana – che poi magari si sgonfierà naturalmente quando ci si renderà conto realisticamente che il mercato dell’audiovisivo è profondamente cambiato – sia l’ennesimo escamotage per eludere i veri problemi e mascherare l’incapacità di elaborare nuove strategie per riconquistare il “pubblico perduto”.

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