LA COMUNICAZIONE NEI SOCIAL MEDIA: COSA CI RISERVERÀ IL FUTURO PROSSIMO?
di Ireneo Picciau
da “I DIARI DI CINECLUB, n.62, giugno 2018 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)
I social media si sono rapidamente diffusi nel giro di pochi anni, concedendo a ciascuno di avere un pubblico potenzialmente smisurato per i propri messaggi. In effetti, proprio la narcisistica aspirazione a porsi in evidenza, radicalmente sviluppata nell’essere umano, ha grandemente contribuito alla diffusione capillare dei social network. La relativa facilità di accesso alla Rete in strati sempre più ampi della popolazione mondiale ha fatto il resto. La diffusione dei contenuti si è fatta, quindi, sempre più rapida e virale, evidenziando anche un altro aspetto innovativo, rispetto al modo in cui precedentemente veniva articolata la comunicazione: la progressiva e inarrestabile prevalenza dell’immagine (ferma o animata) rispetto alla parola. Quest’aspetto non è solo formale, ma riveste un forte rilievo in termini di efficacia della comunicazione, in quanto il pensiero funziona esclusivamente per immagini e, di conseguenza, risulta più permeabile ad un messaggio veicolato con tali modalità. Ne consegue una comunicazione più semplice e intuitiva, in qualche modo più democratica, che chiunque è in grado di comprendere. Da ciò deriva anche la sua efficacia. Un altro aspetto decisivo della comunicazione social è dato dalla sua universalità, in quanto in linea di massima chiunque nel mondo può vedere quello che pubblichiamo e il nostro potenziale pubblico assume dimensioni inavvicinabili per i media tradizionali. La comunicazione social si configura, quindi, come un qualcosa di nuovo e diverso rispetto ad un recente passato. Parole, immagini, suoni, si diffondono nella Rete in un modo che può apparire caotico, ma che soddisfa le infinite possibilità ed i bisogni (reali o immaginari, genuini o indotti) di chi i contenuti li produce e di chi li cerca. Sui social si è sempre esposti. È come essere su un palco con tante persone a guardarci, mentre svolgiamo la nostra comunicazione. Tuttavia, se davanti ad un pubblico in carne ed ossa abbiamo piena consapevolezza della situazione, nei social non sempre il livello di vigilanza è adeguato e corriamo il rischio di esagerare, di andare oltre rispetto a ciò che sarebbe più saggio esprimere. Alcuni messaggi potrebbero risultare troppo personali, o aggressivi, o discriminanti nei confronti di qualcuno. Nell’era dei social e dell’informazione liquida e istantanea abbiamo imparato a comunicare attraverso molteplici canali, ma abbiamo disappreso ad aspettare. Ciò fa di noi dei client molto esigenti, che danno (giustamente) per scontata l’interazione diretta e immediata con le aziende e che si aspettano una risposta a qualsiasi interazione in tempi pressoché immediati. Tutto ciò è causa (colpa o merito, a seconda dei punti di vista) del nuovo modo di percepire il tempo, che è radicalmente mutato rispetto al passato proprio con l’avvento del web e delle connessioni mobili always on, sempre accese. Cinzia Fiaccadori, CEO di Eidos, importante società di relazioni pubbliche e comunicazione, in merito al tema della percezione del tempo in rete, sostiene che oggi molti di noi vivono in un eterno presente dove, grazie alla partecipazione a più social, conduciamo più vite contemporaneamente e tutte nel segno dell’impazienza. Questa è per la Fiaccadori la Generation Now. Giulia Ceriani, presidente di Baba Consulting, Agenzia per ricerche di mercato, ha sottolineato invece la natura paradossale del tempo vissuto sui social e più in generale nel web: da un lato, c’è il tempo scandito dall’urgenza, dove tutto accade nello stesso istante.
Dall’altro, abbiamo quello che la Ceriani definisce un tempo “fermo”, immobile, una fotografia del passato costituita da ciò che è stato immesso e che resta immutato, sempre ricercabile e reperibile da chiunque. Un mondo di informazioni su di noi e sugli altri che non può essere cancellato, ma anzi diventa memoria collettiva della quale non possiamo disfarci, nel bene e nel male. Pensiamo solo per un attimo a quel post o tweet scellerato lanciato nel social in un momento di scarsa consapevolezza, o magari a quella foto o quel video pubblicati in un istante di superficiale incoscienza, che ora potrebbero danneggiarci. Molteplici sono i casi di cronaca in questo senso, che spesso si concludono in modo tragico. Anche per le aziende ed i politici questa caratteristica della rete può rappresentare un possibile fattore di rischio, quando, ad esempio, le loro magagne del passato restano puntualmente documentate nel mare magnum del web e tornano a galla ogni volta che qualcuno si prende la briga di andare a riesumarle. Pensiamo soltanto, a questo proposito, a tutte le volte in cui un personaggio della politica o della cultura o un capitano d’azienda fa una dichiarazione di un certo tipo su di una questione d’attualità e puntualmente spuntano fuori in rete dichiarazioni di segno opposto, rilasciate dallo stesso personaggio in un passato più o meno recente. La permanenza di qualunque nostra traccia nel web comporta anche che dobbiamo sempre considerare con attenzione le nostre comunicazioni nei social, i contenuti che vi immettiamo. Di conseguenza, prima di premere il tasto invio, varrebbe forse la pena di porci qualche domanda: è necessario? Potrebbe ferire qualcuno? Potrebbe danneggiarmi? Perché lo sto condividendo? Quali obiettivi mi pongo e quali conseguenze mi attendo? La sensazione netta è che siamo soltanto agli albori di una nuova comunicazione di massa. Forse, questo è solo l’inizio di un processo che avrà ulteriori e imprevedibili sviluppi in un futuro prossimo, avviandoci verso una sorta di democratizzazione e diffusione orizzontale dei processi di comunicazione e persuasione, che, pur con le sue inevitabili distorsioni, potrà forse portare risultati migliori rispetto a quelli ottenuti dall’informazione controllata da pochi esclusivi gruppi di potere. Anche se non possiamo certo ignorare gli effetti negativi della democratizzazione della comunicazione nella rete. Come saggiamente ci ricordava Umberto Eco: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.”
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Ireneo Picciau psicologo e psicoterapeuta, è stato a lungo team manager della formazione in una grande azienda sanitaria. Esperto in tecniche di comunicazione e persuasione ed in psicologia delle organizzazioni, svolge attualmente l’attività di formatore e consulente aziendale.
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