PIEDI : CORPO = CUORE : ANIMA
di Helel Fiori
Quand’ero piccola odiavo i miei piedi. In realtà mi facevano schifo un po’quelli di tutti, ma con quelli estranei la soluzione era semplice: non avvicinarcisi, e non guardarli troppo a lungo. Con i miei, invece, il problema era ben più serio, dato che erano sempre lì, alla fine delle gambe, appena dopo le caviglie, pronti a disgustarmi. Non che siano dei brutti piedi, anzi, alcuni li hanno anche annoverati tra le “belle estremità”. Piccoli, abbastanza proporzionati, con una pelle di tutto rispetto e un piglio caratteriale simpatico. Ed allora perché per anni un sentimento di repulsione ha definito il nostro rapporto? Oggi lo so, ma ancora non voglio svelarlo. Infatti, poi, crescendo, la repulsione ha lasciato spazio all’indifferenza. Alla estraneità. Ad una sorta di accettazione passiva: “Basta che ognuno viva la propria vita nel proprio spazio. Io non do loro fastidio, e loro non lo danno a me.”
E quindi ecco che per anni e anni li ho nascosti dentro anfibi con suola a carro armato e punta in ferro, anche in Agosto, confinati in quelle grotte di cuoio e metallo senza via d’uscita. Erano talmente prigionieri, che nemmeno chiedevano aiuto. Stavano anche tranquilli, dentro quelle tane. E poi, dopo 25 anni di fluttuazione a mezz’aria, divenni plantigrada. Come?
Scoprii il ballo. Scoprii il tango. Un ballo dove i piedi strisciano sul terreno, dove balli con la terra, sulla terra, nella terra. Ora, senza piedi, ovviamente non sentirei i piedi ballare. Non sentirei il fruscio delle scarpe sul pavimento. Non sentirei il collo del piede che si tende quando cambio le scarpe, e mi alzo proiettando il corpo verso l’alto. La divertente sensazione di quando fletti la caviglia verso l’esterno, o di quando fai un adorno.
Quindi, dicevo, scoprii cosa i miei piedi erano – e sono – in grado di farmi fare. Qualcosa di speciale, che va al di là del semplice camminare (che già di per sé è una meraviglia, ma giornalmente non mi dà la sensazione di “miracolo”). Ho capito a cosa servono: servono a farmi sentire parte del mondo, servono a farmi sentire presente, a farmi sentire capace, a farmi sentire viva. Li ho quindi finalmente spiegati, e così, li ho amati, compresi, sentiti. Li ho sentiti miei. Non più una lontanissima protuberanza allungata del mio essere, ma anzi, la più estrema materializzazione dell’energia immateriale che alberga in me, e senza di loro, non sarei la stessa. Non sarei così felice. Non li amerei, e non amerei me mentre scopro cosa sono in grado di fare grazie a loro.
Ma perché, sto parlando di questo? Davvero Helel oggi è impazzita, e sta passando un sabato a scrivere l’encomio dei propri piedi? Ovviamente no. E’ solo che non faccio altro, di questi tempi, che sentire persone contrarie ai rapporti sentimentali, tutti che rifuggono il legame, tutti che esaltano il concetto di libertà. Molti – non tutti, in effetti – assimilano il rapporto di coppia ad una sorta di prigionia dove la libertà viene svenduta e/o persa a causa di un mitologico partner terribile che niente altro ha da fare nella vita che limitare le loro libertà d’azione, pensiero, espressione. Quindi sfuggono, scappano, dissimulano, davanti agli altri nonché davanti a loro stessi: parlano dell’amore come una cosa universale, ma talmente universale che è palesemente out provarlo per una sola persona. Per alcuni addirittura “non esiste”, ascrivendolo alle montature mediatico-sociali: sottile concetto ingannevole volto solo a far vendere peluche, cioccolatini, rose, appartamenti e fedi nuziali, tramite pratiche altrimenti destinate all’estinzione, quali “il dono” o “il progetto di coppia”. Ad ogni modo, è certamente misterioso e di non facile identificazione il motivo (o i motivi) che portano i giovani – maschi e femmine – ad essere così disillusi e sfiduciati. Si tratta infatti di riconoscere ciò che trent’anni fa è stato utile, necessario, come qualcosa che oggi è tremendamente avvilente: l’affermazione della propria libertà tramite il compulsivo esercitare la suddetta libertà. Ciò che ieri è servito per liberarci, oggi ci sta intrappolando in una spirale di finte lotte e finti ideali.
L’amore, e la coppia, non sono una limitazione. E’ una ulteriore opportunità di azione, una circostanza dove le possibilità aumentano, invece che diminuire. Ci sono cose che possiamo fare da soli. Esperienze, emozioni da provare, luoghi da visitare. Soli ne abbiamo un’infinità. In due, questa infinità, quasi raddoppia. E raddoppiare l’infinito, non è una cosa semplice. Ebbene, l’amore può farlo. Come posso definirmi “libero” se ho paura di amare e di sentirmi vulnerabile, affezionato, unito? Non sono libero. Sono prigioniero dell’idea di me che ho costruito negli anni: un me stesso forte, che non ha bisogno di niente; un me stesso “moderno”, libero dalle usanze sociali di circostanza; un me stesso illuminato, sgombro di sovrastrutture (magari religiose); un me stesso che si autodetermina, che decide per sé. Complimenti. Tutti cadiamo nella stessa rete. Affermare la propria libertà allontanandoci dagli altri, allontanandoci da conoscenze profonde, non è vera libertà. E’ il ringhio di un cane randagio che ha paura di essere imprigionato di nuovo (e su questo “di nuovo” vorrei invitarvi a soffermarvi. Tant’è che se un animale non conosce la prigionia, non ne ha nemmeno paura. Ma andiamo avanti… )
La libertà umana più difficile da trovare è proprio quella che noi stessi soffochiamo: è il permetterci di imparare dagli altri e con gli altri, è il non avere paura di scoprirci diversi da quello che pensavamo-volevamo-speravamo. E’ il lasciarsi andare dentro lo scorrere naturale delle emozioni, senza pensare se queste ci faranno diventare o no dipendenti di qualcuno o qualcosa. La libertà è guardarsi allo specchio ed ammettere a sé stessi che un’altra persona fa parte di noi, e non averne paura, non provare rabbia, non cercare di negarlo, dimenticarlo, asportarlo. La libertà non è tenersi il pomeriggio libero perché forse ci può venire voglia di fare qualcosa: è piuttosto uscire ed accettare quello che ci accade, senza pensare a quale potenziale occasione staremmo perdendo, essendo in un luogo piuttosto che in un altro. E’ imparare mentre, presenti e concentrati, ci muoviamo in nuove situazioni. E’ creare nuove mappe neurali, mentre nuovi problemi devono essere risolti. E’ scoprire, scoprirsi. Inoltre, tutte le menzogne che la paura ci racconta,dovrebbero farci ridere o alzare un sopracciglio: tantissime persone terrorizzate dalla gelosia, dal senso di possesso. Tutti che scappano da tutti, non si sa mai che l’altro volesse “possederci”. Ma di cosa stiamo parlando? Di pazzi che rapiscono, di pazzi che ammazzano (“Non deve averti nessun altro!”) , insomma, stiamo parlando di pazzi? O stiamo parlando di (e tra) persone umane, assennate, giovani e (ahimè questa parola) NORMALI?
Tornando ai piedi… sono una parte del mio corpo. Sono miei. Li sento parte di me, e li amo. Ora, non per questo, mi ci rapporto in maniera morbosa. Non impazzisco se qualcuno guarda i miei piedi più di quanto li guardi io, non voglio tenerli immobili, non voglio impedire loro di fare niente. Semplicemente amo il fatto che ci sia un tacito accordo d’affetto, tra me e loro, che mi permette di dire loro “hey, ho voglia di ballare, di emozioni: balliamo?” ovvero “viviamo un’emozione insieme”. Oppure loro mi mandano il messaggio nervoso: “abbiamo freddo: coprici. Prenditi cura di noi!” So che questo discorso può sembrare insensato e attaccabile da più punti, ma il senso finale è che se ci si ama, vi è per forza un rapporto di interdipendenza emotiva, perché questo è intrinseco al rapporto: non ho dipendenze emotive col giornalaio, ‘sti cazzi. Precludersi la possibilità di vivere un rapporto profondo con un’altra persona, per come la vedo io, è l’espressione di una quasi totale mancanza di autentica libertà interiore. Precludersi la possibilità di amare qualcuno senza comprenderlo totalmente, per come la vedo io, è l’espressione di una quasi totale mancanza di coraggio: aprirsi all’amore solo dopo aver valutato i pro e i contro con calcoli e contro-verifiche, non è libertà, non è scoperta, non è accettare un dono. E’ giudizio, è fare bilanci, è amare col cervello. Quindi chiudo dicendo che i piedi sono per il corpo, ciò che per l’anima è il cuore. Un mezzo per muoverci, per sentire emozioni, per danzare. Tutto il resto sono minchionate. Riprendetevi.
Detto questo, prendo i miei piedi, e me ne torno a casa.
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