CRISTO, CINEMA E IMMAGINE
di Nino Genovese
da “I DIARI DI CINECLUB, n.60, aprile 2018 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)
Dai primi tempi della sua storia, il cinema si è interessato alla figura e alle vicende di Gesù Cristo: dalle riprese filmate delle prime Sacre Rappresentazioni al Christus di Giulio Antamoro, dal Giuda di Febo Mari a Il Re dei Re per quanto riguarda il muto; in epoca sonora, dal Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini (considerato dalla Chiesa il miglior film sulla figura di Cristo) a Il Messia di Roberto Rossellini, dai grandi kolossal epico-storici di produzione hollywoodiana al Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, da L’ultima Tentazione di Cristo di Martin Scorsese a The Passion di Mel Gibson, e tanti altri, fino al recentissimo Maria Maddalena di Garth Davis. In occasione della Pasqua, ecco un excursus di carattere storico sulla figura e l’immagine di Cristo nella storia del cinema, dalle origini ai giorni nostri.
Fin dalla sua nascita e, via via, nel corso del tempo, fino ad oggi, il cinema si è sempre accostato alla figura di Cristo, anche perché – come ha avuto occasione di affermare il regista Damiano Damiani – «è difficile immaginare una sceneggiatura più avvincente del racconto della Passione, ricco com’è di colpi di scena, e con un finale memorabile». Ma qual era il vero volto di Gesù, il suo reale aspetto fisico? Chi volesse ricostruirne fedelmente il viso, il colore dei capelli e degli occhi, la statura e la corporatura, si accorgerebbe che, in realtà, non esistono ritratti o descrizioni di Cristo che risalgano all’epoca in cui egli è vissuto; e neppure nei Vangeli troviamo alcuna descrizione del suo aspetto fisico. Tuttavia, anche se non esistono informazioni dirette o documenti figurativi coevi sulle caratteristiche somatiche di Gesù, si tratta pur sempre di una persona reale, di una figura umana e quindi, come tale, rappresentabile. Così, se la vera immagine di Cristo è quella spirituale, che ogni credente si porta nel suo animo, il desiderio di una sua visione reale ben identificata si esplica nell’iconografia artistica, tant’è che l’immagine di Cristo è stata quella che ha dominato di più la storia dell’arte degli ultimi duemila anni: Giotto, Brunelleschi, Botticelli, Perugino, Tintoretto, Leonardo, Michelangelo, ma anche El Greco, Memlig, Hugo Van Der Goes, Rubens, Zurbaran, Murillo e tanti altri artisti hanno raffigurato un Cristo che cambia fisionomia secondo la loro sensibilità individuale e secondo i tempi, dallo stile bizantino all’arte Romanica e Gotica, dal Rinascimento al Barocco, e così via via fino ai giorni nostri, in un percorso che si svolge parallelamente alla storia dell’arte tout-court. L’immagine più autentica di Cristo, però, dovrebbe essere quella che risulta indelebilmente impressa nel suo sudario, in quella Santa Sindone, oggetto di tanti studi e ricerche da parte di numerosi scienziati, che costituirebbe una sorta di lastra fotografica del volto e del corpo di Gesù (almeno per chi non nutre alcun dubbio sulla sua autenticità). Ed eccoci al cinema, arte visiva per eccellenza, che, sin dalle origini e dai primi tempi della sua lunga storia, si interessa – e non avrebbe potuto essere diversamente – alla figura di Gesù Cristo e alla narrazione degli episodi salienti della sua vita, attraverso le fonti più attendibili costituite dai quattro Vangeli canonici (ma non mancano vari riferimenti ai cosiddetti Vangeli apocrifi). In principio, furono le riprese filmate delle “Sacre Rappresentazioni”, i cosiddetti “Tableaux vivents”, che si allestivano in varie parti d’Europa. La prima fu la Passion du Christ realizzata, nell’estate del 1897, da Albert Kirchner detto Léar, in un terreno incolto di Parigi. Poco tempo dopo, ecco La Vie et la Passion de Jèsus Christ realizzata dai Fratelli Lumière, che, non avendo potuto riprendere “dal vero” – come avrebbero voluto – la famosa Passione di Oberammergau, in Baviera, e neppure quella di Horitz, in Boemia, ne fecero realizzare un’altra, a Parigi, “spacciandola” per quella di Horitz. In effetti, nei primissimi anni della sua vita, il cinema non si perita di effettuare una sorta di commixtio tra realtà e finzione, per cui, a volte, diventa “vero” non ciò che lo è davvero, ma ciò che appare come tale: tant’è che, fuori dall’Europa, a New York, nel 1898, il produttore Richard G. Hollamann gira, sulla terrazza di un albergo, una Passione “fittizia” (conosciuta come Passion Play), “lanciandola” come la “vera ripresa” della Passione di Obberammergau. Questi filmati erano, o apparivano, “documentari” ma il “mago” Georges Méliès, inventore del cinema di “fiction”, si accostò anche lui a un famoso passo del Vangelo non tanto per il suo profondo significato religioso quanto per la possibilità di realizzare un “effetto speciale” ante-litteram, uno dei suoi mirabolanti (per l’epoca) trucchi di ripresa, realizzando, nel 1898, Le Christ marchant sur les eaux (Cristo che cammina sull’acqua). Vi è, poi, Ferdinand Zecca che, insieme con Lucian Nouguet, dirige La vita di Cristo, per la Gaumont, e poi, per la Pathè, La vita e la Passione di N.S. Gesù Cristo, conosciuto come la Passion Zecca, primo kolossal di argomento religioso della storia del cinema, a cui si ispirano i successivi autori di film cristologici. Sempre in Francia, Alice Guy gira, nel 1906, La Vie et la Passion de Notre Seigneur Jésus-Christ e Louis Feuillade, nel 1910, Le Christ en Croix, e così via. Anche in Inghilterra e in tanti altri Paesi europei vengono realizzati diversi film aventi come soggetto queste particolari Passioni, e – naturalmente – pure negli Stati Uniti (ricordiamo Passion play, 1897, di L. J. Vincent; Passion Hollaman di Sigmund Lubin, The Star of Bethlehem, 1912, di Lawrence Marston, ecc.). In Italia, nel 1900, viene realizzato il primo (breve) film sulla vita di Cristo ad opera di Luigi Topi (con Ezio Cristofari), cui segue, nel 1914, la Passione di Cristo realizzata dalla «Film d’Arte Italiana».
Le riprese di “Sacre Rappresentazioni” furono davvero numerose; ma – per arrivare ad un film che si stacchi dalla staticità dei “tableaux vivents” e dall’iconografia popolare delle immaginette e della tradizione pittorica, dando vita a una personale ed originale rilettura dei testi evangelici – bisognerà aspettare il Christus realizzato, tra il 1915 e il 1916, dal Conte Giulio Antamoro per la Cines di Roma, sulla scorta di un “Poema iconografico in tre Misteri” scritto da Fausto Salvatori, con l’interpretazione di Alberto Pasquali (Gesù) e Leda Gys (Maria). Dopo il periodo della prima guerra mondiale, risulta particolarmente interessante il film Giuda, diretto ed interpretato nel 1919 dal messinese Febo Mari (al secolo Alfredo Rodriguez), in cui l’autore inventa di sana pianta una storia tutta incentrata sui rapporti tra Giuda, Maria Maddalena e Gesù, presentato per la prima volta come un rivoluzionario: in questo senso, il film di Febo Mari rivela la grande capacità inventiva e creativa dell’attore e regista messinese, che è il primo in assoluto ad anticipare le varie interpretazioni “eterodosse” della figura di Cristo che, nel corso del tempo, riguarderanno molti libri, alcuni quadri (tra gli altri, la famosa Ultima cena di Leonardo da Vinci, spunto di fantasiose e fortunate invenzioni romanzesche, come quella di Dan Brown nel noto Il Codice da Vinci, da cui è stato tratto il film omonimo diretto da Ron Howard) e – naturalmente – anche diversi film: pensiamo, per esempio, a L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, risalente al 1988, in cui il regista italo-americano si sofferma soprattutto sul Cristo uomo, su quella che sarebbe potuta essere la sua vita “normale” se non avesse dovuto affrontare il supremo sacrificio della croce per la redenzione dell’umanità. Siamo nell’ambito di quella categoria di film cristologici che Remo Romeo (nel suo libro Il Vangelo secondo il cinema, Emanuele Romeo Editore, Siracusa 1995) definisce «reinterpretativa», in cui la vicenda terrena di Gesù assume un valore paradigmatico, diventa quasi il riflesso delle idee dell’autore del film. Rientrano in questa sezione film molto diversi: ad esempio, Il figlio dell’uomo (1954) di Virgilio Sabel, che (anticipando Pasolini) ha per protagonisti i poveri e la gente umile del Gargano; La Ricotta di Pier Paolo Pasolini (episodio del film RoGoPaG, 1963), molto particolare ed estremamente interessante, sia dal punto di vista narrativo che stilistico-espressivo; un capolavoro dello stesso Pasolini come Il Vangelo secondo Matteo del 1964, a mio avviso uno dei film più suggestivi e più belli incentrati sulla figura di Cristo (ed è anche questa la posizione “ufficiale” della Chiesa, che lo considera «il miglior film che sia mai stato realizzato sulla figura di Cristo»). Infatti, nonostante l’autore fosse notoriamente ateo e marxista, l’opera costituisce un’interpretazione corretta e fedele, ma anche moderna e problematica, del testo evangelico, rivisitato e trasfigurato attraverso uno stile che si avvale di elementi disparati, attinti alla letteratura, alla cultura cinematografica, pittorica, musicale, letteraria. Il film si configura come una grande metafora del sottoproletariato mondiale, come restituzione di dignità espressiva al mondo dei reietti ed anche come momento di verifica delle potenzialità liberatorie del cristianesimo evangelico, contrapposto alla Chiesa come struttura ed istituzione; il Cristo di Pasolini, interpretato dal volto “normale”, scarno e sofferto, dello studente catalano Enrique Irazochi, molto lontano dall’iconografia tradizionale, è un Cristo combattivo, radicale contestatore del potere, che risente dei fermenti innovativi dell’epoca conciliare e giovannea, ma che rispecchia soprattutto la stessa vocazione allo “scandalo” di Pasolini, intellettuale polemico “controcorrente”. Girato nella stupenda cornice dei Sassi di Matera, vince il Premio O.C.I.C. (Office Catholique International du Cinéma) alla Mostra di Venezia del 1964.
Ma i film più popolari e conosciuti, che fanno parte dell’immaginario collettivo della gente, sono quelli di carattere «agiografico» ed «epico-storico», in cui spiccano i grandi “kolossal” hollywoodiani, che, in fin dei conti, si prefiggono di fare “spettacolo” anche attraverso una tematica così profondamente intrisa di religiosità e spiritualità: da Il Re dei Re, diretto nel 1926 da Cecil B. De Mille, che si conclude con la prima scena girata in technicolor della storia del cinema, che vede rappresentata la Passione di Cristo (e, quindi, il coloreassume un valore simbolico), allo stesso
film rifatto, nel 1961, da Nicholas Ray (King of the Kings, con Cristo interpretato da Jeffrey Hunter) e a La più grande storia mai raccontata (The Greatest Story Ever Told, 1965) di George Stevens, derivato non direttamente dai Vangeli, ma da un romanzo americano di Fulton Oursler, con un Cristo cui presta il suo volto l’attore svedese Max Von Sydow; si tratta di un film che non vuole in nessun modo urtare la sensibilità dell’americano medio: così, Gesù non ha fratelli e sorelle perché ciò avrebbe potuto offendere i cattolici (ma questo è un dato comune a molti altri film cristologici), i miracoli sono ridotti al minimo per non infastidire gli agnostici, nel Sinedrio la folla che si scaglia contro Gesù è soltanto a metà per evitare l’accusa di antisemitismo, e quando Lazzaro, che Stevens identifica con il giovane ricco, chiede se la ricchezza sia un delitto, Gesù gli risponde che non lo è, anche se talvolta può essere un peso: e ciò, certamente, per non essere tacciato di idee antiamericane, dato che sul guadagno, sul profitto, sul compenso e sul business si basa, in genere, il modus vivendi et operandi di quella società. E sono anche questi i film in cui – guarda caso! – Gesù è quasi sempre rappresentato con capelli biondi ed occhi azzurri!
A questi film si può anche accostare il Gesù di Nazareth del nostro Franco Zeffirelli (realizzato per la televisione e poi “ridotto” per il cinema, con Robert Powell nei panni di Gesù), che espone i fatti evangelici secondo le linee più care alla tradizione e all’iconografia popolare, con completezza e precisione (è forse il film più ampio e completo incentrato sulla vita e la figura di Cristo), ma anche con grande sfarzo e con la presenza di quelle scene spettacolari molto care ai film destinati a un mercato “internazionale”; invece, Roberto Rossellini si cimenta, nel 1975, con Il Messia, film molto scarno e “poetico”, che può anche ricordare Pasolini per il modo in cui presenta l’immagine di Cristo, ma non è tra le sue migliori opere. Da ricordare, poi, un film insolito ed originale, come L’ultima tentazione di Cristo (The Last Temptation of Christ, 1987) di Martin Scorsese, con William Dafoe nel ruolo di Gesù, tratto dal romanzo del greco Nikos Kazantzakis, in cui emergono i dubbi e le “tentazioni” del Cristo-Uomo, che immagina una vita “normale” di sposo e padre. Al canadese Norman Jewison si deve un’altra insolita, ma efficace e suggestiva “operazione” sulla figura di Cristo, con la realizzazione, nel 1973, del famoso “musical” Jesus Christ Superstar, tratto dall’opera rock inglese di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, con Ted Neeley nel ruolo di Cristo, che sarebbe poi stato il protagonista anche di una delle diverse trasposizioni teatrali del messinese Massimo Romeo Piparo; un altro “musical” è il meno noto Godspell di David Greene (sempre del 1973). Ed ecco il discusso The Passion / La Passione di Cristo (2004) di Mel Gibson, girato – come il Vangelo di Pasolini – nella suggestiva cornice di Matera (come era avvenuto, a suo tempo, per il film di Pasolini) con James Caviezel nel ruolo del Redentore, molto attento al rigore filologico (è parlato in aramaico e in latino), ma volutamente truculento e grondante di sangue, in cui colpisce soprattutto la violenza di molte scene: un realismo voluto, forse eccessivo, che diventa iperrealismo e – come tale, paradossalmente – finisce con il risultare meno efficace di immagini più attutite e soft, come ad esempio quelle del film di Pasolini. E – nonostante la serietà del tema – non poteva mancare ugualmente qualche parodia, come quella che il gruppo comico inglese Monty Python realizza, nel 1979, con il film Brian di Nazareth (Monty Phython’s Life of Brian), diretto da Terry Jones: criticato dalle autorità religiose e censurato in alcuni Paesi (in Italia uscirà con ben 12 anni di ritardo!), è una divertente satira non tanto della figura di Gesù quanto, tutt’al più, di ogni fanatismo ed integralismo religioso.
Da notare, ancora, che – sia durante il periodo del muto, sia in epoca sonora – vi sono diversi film in cui la figura di Cristo viene vista di scorcio, sullo sfondo di altre vicende che assumono una maggiore rilevanza, e sono talmente numerosi che potrebbero costituire un capitolo a parte. Ed ecco due episodi dei film Civilization di Thomas Ince e Intolerance di David W. Griffith, entrambi del 1916; un film di Carl Theodor Dreyer, Pagine dal libro di Satana, del 1920; il già citato Giuda (1918) di Febo Mari; Ben Hur (1925) di Fred Niblo, poi ripreso, nel 1961, da William Wyler; Quo vadis? (1951) di Melvin Le Roy; La Tunica (1953) di Henry Koster, primo film in Cinemascope; Barabba (1962) di Richard Fleisher; due film di Luis Buñuel (Nazarin e La Via Lattea); due film di Jean Luc Godard (Passion e Je vous salue, Marie); il rigoroso, astratto ed essenziale Il bacio di Giuda (1988) di Paolo Benvenuti; il parodistico e surreale Brian di Nazareth (1980) dell’inglese Terry Jones; il divertente Il ladrone (1979) di Pasquale Festa Campanile, con Enrico Montesano nel ruolo di Caleb, il “buon ladrone” crocifisso insieme a Gesù, che, quando quest’ultimo gli promette il Paradiso, gli risponde: «Grazie Signore, vai pure avanti Tu!»; L’Inchiesta (1986) di Damiano Damiani, sull’immaginaria indagine che il romano Tauro effettua in Palestina, subito dopo la Resurrezione di Cristo; Secondo Ponzio Pilato (1987) di Luigi Magni, incentrato più sulla figura di Pilato (Nino Manfredi) che non su quella di Cristo; e, infine, Su Re (2013), scritto e diretto da Giovanni Columbu, film straordinario, davvero poco visto, girato in Sardegna, con un Cristo (come quello di Pasolini) molto lontano dall’iconografia pittorica e cinematografica, le cui ultime ore sono trasposte in una dimensione onirica.
Cristi “contemporanei” sono quello interpretato da Beppe Grillo (sì, proprio lui!…) in Cercasi Gesù (1982) di Luigi Comencini, e il Joan Lui (1985) di e con Adriano Celentano; ma anche il protagonista africano di Seduto alla sua destra (1968) di Valerio Zurlini, e il Jesus of Montreal (1989) del canadese Denys Arcand; vi è anche un Gesù interpretato da Mino Reitano in un particolarissimo film di Pier Carpi dal titolo Povero Cristo (1975); ed alcuni episodi della vita di Gesù e dei suoi rapporti con Maria Maddalena, trasposti in epoca moderna, tra hippies, prostitute e “magnacci”, sono quelli raccontati nell’invisibile ed introvabile Macrò – Giuda uccide il venerdì (1974) di Stelvio Massi; così come in epoca moderna agiscono la Madonna e Gesù nel film “sperimentale” The Garden (1990) di Derek Jarman. Che l’interesse per questa tematica si verifichi costantemente nel corso del tempo, è dimostrato dall’ultimissimo film, uscito proprio in questi ultimi giorni, diretto dall’australiano Garth Davis (produzione GB, Usa e Australia), dal titolo Maria Maddalena (girato anche a Napoli). Ora, è vero che il regista sposta l’attenzione su una delle figure più enigmatiche e incomprese del Vangelo, solo recentemente riabilitata dalla Chiesa e, addirittura, santificata, senza essere più identificata con la prostituta che Gesù salvò dal peccato; ma è anche vero che questa giovane donna (interpretata da Rooney Mara), alla ricerca di una nuova vita libera dai condizionamenti della società patriarcale, trova l’occasione per intraprendere il suo cammino di crescita proprio grazie al nuovo movimento religioso e sociale fondato da Gesù di Nazareth (lo interpreta Joaquin Phoenix), per cui, anche in questo film, la figura di Cristo assume una sua notevole rilevanza (sia pure maggiormente calibrata attraverso il rapporto con Maria Maddalena, che diventa il punto di vista dal quale viene osservata la vicenda “terrena” di Gesù, fino alla Passione e alla Resurrezione, peraltro, condensate in pochi minuti e in poche scene.
Infine, vogliamo ricordare anche quei film che tentano di ricostruire i primi anni della vita di Gesù, di cui i Vangeli non parlano: come I Giardini dell’Eden (1998) di Alessandro D’Alatri, oppure – per quanto riguarda i film televisivi – la miniserie Un bambino di nome Gesù (1987) girato da Franco Rossi per Canale 5, diviso in due parti, cui seguono, nel 1989, altre due parti (L’Attesa – Il Mistero). Ma – in questa sede – non è possibile soffermarsi sui pur numerosi (e, a volte, anche pregevoli) film televisivi. Così come, pur senza indicare i film prodotti per la TV, è ugualmente impossibile citare tutti i film di carattere cristologico, dato che sono circa 200 (ma il numero – se si vuol tenere conto di tutti i film in cui la figura di Cristo rimane sullo sfondo o costituisce un riferimento solo indiretto – è approssimativo per difetto)! E tuttavia, dalla nostra lunga “carrellata” si può dedurre come la figura di Gesù abbia accompagnato il cinema nel corso degli anni, dagli albori e dai primi tempi fino ad oggi, introducendo nella sua rappresentazione filmica nuovi significati e interpretazioni dei racconti evangelici e risultando – in tal modo – uno specchio, un riflesso del periodo storico in cui sono stati realizzati: come avviene, d’altronde, per qualsiasi film!… Per concludere con le parole di Marco Bongioanni, possiamo anche affermare che «la presenza fisica e la vicenda storica di Gesù narrativamente configurabili sono, dopotutto, aspetti secondari. Primario è l’annuncio che dopo di lui tutto investe e purifica e per cui egli è presente in ogni bellezza e verità di uomini e cose. Sotto questo profilo, tutto l’autentico cinema può essere letto come parabola di Cristo, e accolto come sua parola». Aggiungiamo: anche da parte di chi non è credente!
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