ELISABETTA USAI: ARTE E DELICATEZZA
di Francesca Arca
Quando accade che tradizione e originalità si uniscano realmente in una forma autentica, quando la musicalità eterea di una voce si fa corpo nell’energia della spinta data dall’arte, siamo certi di trovarci davanti a qualcosa di indelebile. La voce di Elisabetta Usai disegna simboli antichi nell’anima di chi ascolta le sue note, rimanendo impressi nello spirito come bellissimi tatuaggi colorati, invisibili quando la musica si arresta eppure presenti non appena la voce riprende il suo canto. L’unicità è il tratto distintivo di questa cantautrice che racconta un nuovo ed elegante modo di declinare musica e lingua sarda, in una costante miscela di tratti che appartengono tanto al nostro mondo quanto a culture diverse. Logudorese, bittese, gallurese… sono tante le forme in cui “sa limba” esprime la nostra storia attraverso piccole differenze che delimitano il caleidoscopio della geografia isolana. Elisabetta Usai cerca di esplorarle tutte con amore e rispetto, contaminandole e combinandole ad altre idiomi come il francese, l’inglese e lo spagnolo.
«Amo tutte le forme della nostra antica lingua e quando scrivo lo faccio in sardo. La prima sperimentazione linguistica l’ho fatta alternando sardo e francese poi sono seguite tutte le altre». Un costante lavoro di ricerca sulle musiche popolari e continue collaborazioni con artisti isolani, insieme a progetti musicali sempre nuovi, hanno tracciato un percorso che porta ad affinare ogni volta di più la raffinatezza delle interpretazioni della Usai. Premiata di recente al “Piccolo Festival del Cantautore” – che già da qualche anno è tappa indispensabile dell’espressione artistica musicale più innovativa del nostro territorio – Elisabetta sarà tra le protagoniste del prossimo Festival “Abbabula”, uno dei palcoscenici più importanti della Sardegna che con grande sapienza affianca ottimi artisti, sardi e nazionali, uniti dal comune denominatore della musica d’autore. E per lei, forse più che per altri, l’esibizione dal vivo diventa momento fondamentale di scambio.
Canta ad occhi chiusi Elisabetta, con lo sguardo dell’anima rivolto verso l’interno, a scavarsi e perdersi per ritrovarsi carezzevole e forte in un’armonia che arriva da lontano e dal profondo. Tiene la nota sospesa su fili impercettibili che avvolgono con stupore chi la ascolta. «L’attimo di silenzio che precede il canto è forse quello che mi dà quasi più emozione di un applauso». E l’applauso arriva sempre, stordito e sorridente, alla fine di ogni brano, quando Elisabetta apre gli occhi e riprende a guardare fuori da sé, anima manifestante di un mondo antico e nuovo, contemporaneo eppure remoto quanto l’uomo. Monte D’Accoddi e il suo altare preistorico, unico in Sardegna, ascolteranno la sua voce elegante, dolce e viva, e diventeranno magico teatro e testimoni partecipi della profonda interazione che si crea tra un’artista vera e il suo pubblico, in una compenetrazione che anima e rafforza. Il talento non ha bisogno di appuntarsi medaglie al petto; quando è reale sa parlare con la voce della semplicità, quasi inconsapevole della bellezza che fa seme in chi sta di fianco e ascolta. L’unicità di Elisabetta Usai risiede anche in questo suo modo così delicato e schivo di approcciarsi alla propria arte, valore aggiunto che impreziosisce la sua musica che sa di vento e mare, di terra e di elicriso. Artista che di arte si nutre, legata nel modo più intimo alla sua isola eppure così compiutamente appartenente al mondo.
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Un ringraziamento speciale a Barbara Oggiano per averci dato la possibilità di utilizzare le sue splendide foto.
Articolo pubblicato su Antas, n.18, Dicembre 2017