BULLISMO DA OROLOGIO BIOLOGICO
di Marina Garau Chessa
«Non puoi adottare un figlio! Tu un figlio te lo DEVI fare». «Ma non puoi restare single! Guarda che non ti resta molto tempo per fare un figlio!». «Puoi fare come ha fatto una mia amica: ti fai ingravidare e te lo cresci da sola. Lei a lui non ha detto niente!». «Non puoi rinunciare a partorire: io mi sono sentita Dio».
Già. Peccato che Dio non pensi di essere te.
Dopo i «quando ti laurei?», i «quando ti fidanzi?» e i successivi «quando ti sposi?», passati i 30 nessuna donna riesce a rimanere esente dalla domanda: «Quando fai un figlio?». Chissà perché, per altro, chi fa questa domanda si sente in diritto di avere delle spiegazioni; come se fossero fatti suoi.
La maternità, in questo senso, sembra essere un dovere femminile: una cosa talmente irrinunciabile che non importa se non ci si sente pronti, se non si vuole crescere un figlio da soli, se la situazione lavorativa o familiare non consente di averne uno o se, semplicemente, si è deciso di non averne per i motivi più vari. La cosa importante è farlo, perché i tuoi ovuli hanno la data di scadenza come il cartone del latte. E queste sedicenti “Fertility fans”, in maggioranza donne, si sentono in diritto di chiederti spiegazioni e di darti consigli non richiesti, dalla loro posizione di mamme felici. E in qualche modo le “non mamme” si sentono obbligate a dare spiegazioni, come se fossero da lato sbagliato.
Tutto pur di avere un figlio, dunque, costi quello che costi. Piuttosto da sole. Tanta stima per chi ritiene di poterlo fare, ma io non vedo perché dovrei fare da sola qualcosa che è già un casino fare in due.
Il disprezzo delle mamme uterine si estende spesso alle madri adottive che, dal loro punto di vista, non sono veramente madri.
Questo comportamento non è indice di attenzione verso l’altro: si chiama bullismo da orologio biologico e, chi lo esercita, non si pone nemmeno il problema che la cosa non lo riguardi. Vi sono, per altro, situazioni mediche che impediscono o limitano le possibilità di avere un figlio, e i bulli mettono il dito nella piaga di chi soffre questa situazione.
Non è premura, è maleducazione, maschilismo e indice di nessun rispetto della persona che si ha davanti. Una donna non è un’incubatrice: è una persona che abita dentro un corpo, e ognuno ha diritto di gestire casa propria nel modo in cui ritiene più opportuno, dall’arredamento alla condivisione degli spazi, fosse anche solo per nove mesi.
Ma ai bulli non basta: una donna senza figli è una donna a metà, una famiglia senza figli non è una famiglia, e una donna che non vuole essere madre è un essere abbietto che non merita considerazione.
Sapere quando essere maleducati è parte di buona educazione. Ecco perché alla domanda incriminata ho deciso di rispondere: «farò un figlio dopo il tuo funerale!»
E almeno qualcuno ha il coraggio di dirlo! Ogni volta sembra che noi donne siamo delle fattrici. Brava. Avrei voluto saperlo dire come lo hai scritto tu! Ca@@o, che rabbia!