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AUTISMO REALE O AUTISMO VIRTUALE?

di Francesca Arca

La definizione che il vocabolario dà della parola “autismo” è decisamente chiara. Da qualche anno ho avuto il privilegio di conoscere un ragazzo che ha un disturbo dello spettro autistico. Mi capita spesso di parlarci, interagire di persona e a volte anche per messaggio. In questi tempi social e veloci si parla spesso – e altrettanto sovente lo si fa a sproposito – di problemi di salute, di diagnosi e anche di autismo.

Beh… io non ho alcuna preparazione per ergermi ad esperta di alcunché, ancora meno di qualcosa di così delicato come la salute e lo stato psicofisico di una persona. Non voglio e non vorrei mai fare una dotta disquisizione (di quelle tanto di moda adesso) su cose sulle quali non ho la minima dimestichezza. La mia riflessione vuole essere diversa, concentrandosi più che altro sul modo col quale ci approcciamo a noi stessi e alla nostra comunicazione con il mondo esterno.

La superficialità è una delle piaghe più imperdonabili con cui abbiamo a che fare in ogni ambito ed è ancora peggiore quando la utilizziamo per avvicinarci ad argomenti delicati. Leggo spesso commenti ambivalenti sull’argomento “autismo”, che vanno dal pietismo, alla rabbia, a giudizi tranchant, il più delle volte dettati dalla sola voglia di partecipare ad una discussione piuttosto che dalla sensibilità verso la vita altrui.

Io posso solo parlare del mio amico Enrico e dire che è un ragazzo molto fortunato. Lo è perché il suo disturbo non è a livelli severi e questo gli dà la possibilità di migliorare; lo è perché ha dalla sua parte una famiglia attenta e sensibile che ha cercato in ogni modo di dargli la possibilità di aprirsi al mondo, di sfruttare le proprie potenzialità e di avere fiducia in se stesso e negli altri; lo è perché è circondato da amici sinceri che hanno un atteggiamento inclusivo. È chiaro che ciò che io sto raccontando è la semplice punta di un iceberg di lavoro intenso, ansia, sofferenza, problemi che ogni giorno Enrico e la sua famiglia combattono e superano.

Non è facile. Da un lato ci si scontra col pregiudizio che porta a isolare chi è differente – specie in un mondo veloce in cui è semplice mettere un cuoricino sotto una foto e poi passare ad altro – e dall’altro lato si lotta quotidianamente contro gli ostacoli di una comunicazione complessa che passa per mediazioni e tentativi. Ci vuole tempo, sensibilità e voglia di scavare nel profondo. Il senso di frustrazione che nasce dal non riuscire a trovare la chiave giusta per entrare nell’universo di una persona autistica può essere forte, ma la comunicazione è possibile e una volta trovato l’accesso possiamo avere la fortuna di guardare il mondo attraverso uno sguardo pulito e privo di sovrastrutture. Chi, anche solo per un attimo, ha goduto di quell’accesso, sa di cosa parlo.

Ma quanti hanno la voglia di impegnarsi perché questo possa accadere? La mia paura è che si viva sempre di più aggrovigliandoci su noi stessi, spesso nell’attesa di una gratificazione, tanto immediata quanto fasulla, come quella di un like su un social network; distratti nella valutazione di ciò che ci fa star bene davvero, incapaci di un impegno profondo nell’ascolto altrui, rinchiusi in una bolla e muti nel comunicare la realtà del nostro essere. Qual è allora l’autismo più pericoloso? Quello di chi ha un disturbo e lotta ogni giorno per aprirsi al mondo o quello di chi nel mondo ci vive ma perde tempo a costruirsi una bolla inutile in cui rinchiudersi e smettere di comunicare veramente? Forse il vero autismo è il nostro che non sappiamo più parlarci se non inventando maschere dietro uno schermo.

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Un pensiero su “AUTISMO REALE O AUTISMO VIRTUALE?

  • Maria Assunta

    Noi familiari siamo lasciati spesso soli a gestire un percorso difficile nella preoccupazione di ciò che accadrà quando non ci saremo più. Dovremmo essere più attenti come “società” e farci carico emotivamente, e non solo economicamente o politicamente, delle persone che hanno un problema. Grazie per averne parlato perchè si sa poco se non le bufale da web. Comunicare con un ragazzo autistico di può, si DEVE e si dovrebbe!

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