CONFUSIONE
di Maria Rosa Spano
«Che giorno è?»
Non so quante volte ho ripetuto la domanda, ma nessuno mi ha risposto. Ho intorno delle facce sconosciute. Cerco di sottrarmi alle loro mani, ma non ci riesco. Si muovono, mi girano, mi spostano, mi spogliano, mi frugano, mi invadono.
«Smettetela!»
Vorrei urlare ma non ne sono capace. Cosa mi è successo? Mi sembra di essere ancora bambina, quando nessuno capiva le mie parole. Rivedo i miei primi giorni come li osservassi dietro una finestra: abbandonata, infagottata in una morbida copertina a riquadri rosa e bianchi. Ho freddo e mi accolgono delle braccia grosse e sicure, un dito mi sfiora il naso e il mento.
Anche ora qualcuno mi tocca il viso:
«Signora Margherita!»
Chi è? E, soprattutto, perché mi chiama Signora? Avrò al massimo quindici anni e sino a ieri giocavo, con le ginocchia per terra, con Irene e Rosanna. Le nostre bambole sono di stracci ma le abbiamo cucite noi, e con noi prendono il caffè e fanno la merenda.
«Mamma!»
Sono le mie bambole? Nina, la più grande, sicuro! Ho parlato con lei tante volte. Giovanni mi tira i capelli:
«Smettila. Sembri scema! Le bambole non parlano e non capiscono!»
Suor Elisabetta non interviene, seduta con le braccia incrociate sulla pancia gonfia e il respiro asmatico. Ronfa come un gatto ben rimpinzato e ogni tanto fa un sonoro sbuffo.
Giovanni insiste a darmi fastidio, mi solleva la gonna:
«Vediamo un po’ che c’è qua sotto!»
Gli rifilo un calcio in uno stinco.
«Attenti, tenetela!»
Come, tenetela? E’ lui, il vigliacco, che deve essere punito. Chi lo difende? E cosa mi stanno facendo? Mi tengono mani e gambe, sento pungermi un braccio.
«Mamma, per favore, stai buona.»
Di chi è questa voce? La conosco, l’ho già sentita ma non ricordo dove e quando. Sento fresco e umido sulla fronte. Finalmente! Una mano mi accarezza timidamente il viso:
«Sai chi sono?»
Vorrei dire sì. Sento l’ansia nella voce, mi sforzo di parlare, guardo gli occhi chiari che mi scrutano e spero di sorridere mentre rispondo:
«Vorrei, vorrei tanto che tu fossi la mia mamma…»
«Ti ricordi di me?»
Cambiano i volti ma le domande sono sempre le stesse. Ossessive.
«Non capisco – ancora una voce – non mi riconosce.»
«Abbia pazienza, è la malattia.»
«Mio Dio, mi pento e mi dolgo…»
Chi è questa cornacchia? Non è Don Antonio, con il suo naso aquilino e gli occhi bovini, ma ha la sua stessa voce strascicata. Perché prega? Per chi?
Sento la lingua intorpidita. Farfuglio qualcosa e non riesco a tenere gli occhi aperti.
«Non parla più!» – la voce dolce è ancora qui, trepida.
«Troppe cellule sono già distrutte, e la sua mente non è più qui.»
E’ una voce maschile, sicura, ferma. Una mano mi prende il polso e lo tiene delicatamente. Osservo con gli occhi socchiusi: bel giovane, lungo nel camice bianco, un po’ pelato, le labbra tese e lo sguardo corrucciato. Vorrei avere uno specchio e un pettine. Mi solleva una palpebra, poi l’altra.
«Lasciatela tranquilla, è molto stanca.»
Grazie, chiunque tu sia. E’ tanto che non mi lasciano riposare. Ed io voglio, posso, finalmente, solo dormire.
®Riproduzione Riservata
Grazie! Mi sono commossa! Ho pensato a mia madre. Chissà se pure lei avrà pensato queste cose! spero di averla trattata bene! La ringrazio. Mi ha fatto bene leggere queste parole.
Grazie a lei! Siamo certi che la nostra Maria Rosa sarà felice di leggere il suo commento gentile.
Grazie a lei.
Il sentimento di impotenza ci accomuna e non sapendo in realtà cosa ci sia dietro il velo di quegli occhi senza più il colore che conoscevamo, immaginiamo di essere noi costretti in quei panni…
sono io molto emozionata