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GIANNI TETTI RACCONTA “GRANDE NUDO”

di Francesca Arca

Fa male “Grande Nudo”. Fa male come una bruciatura; come una cicatrice che fatica a rimarginare. È un dolore agrodolce e ferroso dal quale non si può prescindere. Sono poche le storie capaci di segnare davvero il percorso di chi legge.

Gianni Tetti è riuscito a farlo con questo libro che rappresenta il vertice finale della cosiddetta “trilogia del vento”, dopo “I cani là fuori” e “Mette pioggia”, tutti editi da Neo Edizioni. Grande Nudo è un libro violento e appassionato che racconta all’uomo la sua stessa natura. I personaggi si muovono in uno scenario livido e cupo in cui i cani vagano tra quartieri desolati quanto le persone. Quasi un non-luogo per chi non è nato in Sardegna.

«Il romanzo è ambientato a Sassari – dice Gianni Tetti quando lo incontriamo – la città fa da sfondo. Non è importante sapere che si tratti di Sassari, ma chi la conosce ha una mappa più chiara. Per me è obbligatorio scrivere di ciò che so e che vedo, per cui è naturale ambientare le storie nel luogo in cui sono nato.» La Sardegna diventa quindi inconsapevole archetipo di un inevitabile mondo comune, immersa in un futuro/presente fatto di crisi e di sconfitte, di modernità malata e di una perdita profonda di umanità. Non è semplice ingabbiare “Grande Nudo” in un genere letterario preciso e forse sarebbe riduttivo e ingeneroso cercare di mettere dei paletti ad un libro così ricco ed intenso. «Prima che il romanzo uscisse avevo le idee più chiare – continua l’autore – avevo terminato di scriverlo  e pochi ancora ne avevano parlato. In questi ultimi mesi invece, complice anche il fatto che il libro è arrivato alle soglie della terza edizione, sono venute fuori moltissime recensioni in cui si è parlato anche di questo. Io leggo molta letteratura di genere, ma non riesco del tutto a classificare “Grande Nudo”. Sicuramente è “nero”: dove al nero è ascrivibile il noir, il mistero, il lato oscuro dell’esistenza, ma anche lo humour e una parte grottesca che forse è più tipica della letteratura americana.»

La potenza espressiva di “Grande Nudo”, i suoi personaggi forti e devastanti, la marcia intera di un popolo in cerca di riscatto è arrivata fino alle selezioni del Premio Strega, che dal 1947 premia le eccellenze della letteratura italiana. Un gradino importante per lo scrittore che permette di annoverarlo, a pieno titolo, tra i grandi autori sardi che prima di lui hanno goduto dell’attenzione di pubblico e critica. «Non so se arriverà mai il momento in cui un mio libro potrà realmente ambire a vincere un premio importante come lo Strega. L’arrivo di una candidatura non ha creato in me grosse illusioni bensì la consapevolezza che avrebbe allungato la “vita” di Grande Nudo e che mi avrebbe permesso di girare e raggiungere più persone possibili.»

Già da qualche tempo il nome di Gianni Tetti tornava insistente in riferimento allo Strega ma l’autore aveva sempre glissato ogni qual volta gli veniva chiesto un parere in merito. «Si vociferava… avevo letto alcuni articoli in cui si citava il mio libro tra i papabili per la selezione allo Strega, ma non ci avevo mai creduto più di tanto. L’ho saputo in modo rocambolesco durante una presentazione del libro ad Ossi. Emiliano Longobardi, che mi accompagna nel tour delle presentazioni, iniziò a riprendermi col cellulare e mi chiese come mi sentissi ad essere stato selezionato per lo Strega. Io lo guardai piuttosto perplesso finché capii che non si trattava affatto di uno scherzo!» Certamente è stata l’opportunità di mostrare al cospetto di un pubblico ancora più vasto la rabbia di un’isola, espressione del disagio profondo a cui andiamo incontro. Riuscire a trasformare la cruda violenza in atto di condivisa bellezza è forse il regalo più grande che Gianni Tetti ha fatto a chi legge. Percorrere questo accidentato sentiero di dolore è un’esperienza che va al di là della lettura propriamente intesa.

“Grande Nudo” è semplice nella sua complessità, arriva diretto come un pugno nello stomaco, mentre le immagini scorrono nella mente e non vanno più via. «Sono convinto che possa essere un libro adatto anche a coloro che non sono abituati alla lettura. Passiamo anni ad appassionarci alle storie delle serie tv e ai personaggi che si avvicendano. È proprio pensando a questo che non ho avuto paura di sviluppare la storia per intero, senza il timore di scrivere un libro “troppo lungo”. L’ho immaginato come se fosse una serie in cinque stagioni. Mi è servito per mettere ordine nel materiale narrativo. Penso che questo possa aiutare chi lo legge ad interessarsi e ad appassionarsi. In fin dei conti io sto dalla parte del lettore: non sono un “intellettuale”, mi piace che il lettore abbia voglia di continuare a percorrere la trama, che si incuriosisca e si interroghi sulle vicende dei personaggi. Amo creare dei misteri o delle situazioni che lentamente si risolvono, proprio come succede nelle serie tv.»

Sono tanti i riferimenti e gli accostamenti fatti dalla critica nel tentativo di descrivere con completezza lo stile di Gianni Tetti, più semplicemente noi abbiamo provato a domandare quali fossero gli autori ai quali si sente più legato, come scrittore ma soprattutto come lettore: «Leggo tanto e abbastanza disordinatamente. Direi che amo Sergio Atzeni. Avevo letto quasi tutte le sue opere una decina d’anni fa e l’ho riscoperto di recente, sia perché cercavo materiale per Grande Nudo, sia per il piacere di riapprocciarmi a questo grandissimo autore. Al momento mi sembra quello più incisivo per quanto riguarda il mio stile, per lo meno in riferimento al mio ultimo romanzo. Poi amo molto Garcia Marquez e Kurt Vonnegut. Sono tre autori completamente diversi l’uno dall’altro e questo forse si rispecchia un po’ nella mia scrittura.»

In questo incrociarsi di storie e vicende, in cui la violenza si mescola alla poesia, in cui è semplice sentire il magone della commozione lasciare spazio alla risata amara, spicca il volto di Maria, personaggio tragico e sontuoso. «Maria parte da un punto veramente basso dell’esistenza. Ogni essere umano ha nel proprio DNA la voglia di riscatto. Partendo da questo punto estremo, Maria prova a dare un senso alla propria vita. Il suo sarà un cammino lungo e sofferto. Insieme a lei si muovono gli altri personaggi. Era importante che i protagonisti non fossero soli ma che attorno a loro ci fosse un humus umano capace di condizionarne le azioni.»

Ogni personaggio ha il suo posto nel mondo infetto e cattivo di “Grande Nudo” e ognuno di essi riesce ad aprire una piccola ferita nel nostro immaginario: Candida, Don Casu, il “majarzu”, i cani… difficile non dare corpo con la mente alle loro voci e alla loro rabbia. Un popolo intero si muove ed è un popolo che ben conosciamo. «Sono i “danzatori delle stelle” di Sergio Atzeni – racconta Gianni Tetti – che dalla campagne marciano in protesta verso la città. La differenza è che mentre in “Passavamo sulla terra leggeri” di Atzeni erano felici, costruivano la loro vita dal nulla, danzavano sotto le stelle e facevano riti magici meravigliosi, in “Grande Nudo”, in quest’isola strozzata dall’industria e dall’inquinamento – un’isola troppo “moderna” rispetto a ciò avrebbero desiderato – non riescono più a danzare, le stelle si sono spente e loro sono lì, all’interno del libro, che marciano alla ricerca di qualcosa.» Scoprire ciò che cercano è compito del lettore nella consapevolezza che Grande Nudo ha la potenza dei grandi libri e che è in grado di poter segnare un “prima” e un “dopo” nell’animo di chi lo legge. Gianni Tetti ci ha scarnificato e abbandonato, ci ha lasciati doloranti e nudi a guardare in profondità la nostra miseria e la nostra grandezza, la nostra confusione e la nostra poesia. E quando ci siamo sentiti troppo soli davanti al dolore ci ha ripreso la mano e ci ha insegnato a correre come corre Maria. Non ci resta che marciare ed inseguire il vento.

Articolo pubblicato per la prima volta su “ANTAS” n.16, luglio 2017

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