DI LIBRAI, LIBRI E LIBRERIE
di Gavino Puggioni
Ieri come oggi, domani come oggi e ieri, mi soffermo davanti alle librerie, siano esse in centro della mia città o nella pur vicina periferia, e mi sento solo.
Quando è necessario entro in uno dei centri commerciali (con insegne altisonanti in lingua straniera) a fare la spesa per il desco e quella serve, si sa, per vivere e sopravvivere e anche in quei centri vedo lunghi banchi stracolmi di libri, quasi tutti in offerta speciale, dal 25% in su , ma non vedo mani che toccano un libro, come si fa per un pacco di biscotti o di pannolini per bambini. Alle casse non esce un libro e quasi ne sono contento perché penso che questo debba uscire solo da una libreria, scontato o no, ma mi sento sempre solo.
Nel pomeriggio, dopo una breve passeggiata, ritorno in libreria, quella più vicina a casa. Mi sento circondato da migliaia di autori, un commesso, una commessa, gentilissimi, anche preparati; ecco il titolare, amico di vecchia data, una stretta di mano e il solito «come va?» quasi inutile.
Inutile lo penso io, osservando l’espressione del mio amico libraio che tale, in quel momento, non avrebbe voluto essere e anche qui mi sento solo ma almeno provo a trovar compagnia e per un po’ ci riesco.
«C’è crisi dappertutto!» mi azzardo a dire quasi a giustificare quella solitudine.
«Io, però, devo pensare alla mia, di crisi, assieme a quella dei miei colleghi e non sappiamo come uscirne, eppure pago due stipendi e tasse che non ti dico.»
Desidero che parli, il mio interlocutore, che mi dica quali sono gli autori, italiani o stranieri che attraggono e chiedo anche dei nostri scrittori sardi.
Con un’espressione – direi fabbricata sul viso, fra lo sconsolato e il deluso, si comprende che fatica a rispondermi.
«Una calma assoluta, qualche saggio scientifico, di filosofia, letteratura universitaria, ricorda che siamo vicini alla Facoltà di Lettere, qualche volume di critica testuale destinato agli insegnanti o a quegli studenti con la tesi in formazione. Insomma, libri scolastici, quando mi piacerebbe vedere chi compra romanzi, vecchi o nuovi, appena pubblicati e non ti sfido a contarli. I gialli di una volta non ci sono più, ora li definiscono noir e li comprano gli appassionati di quel genere, ma stanno scemando anche quelli, c’è troppa ripetitività nei personaggi, ripresi, per lo più dalle cronache quotidiane, quasi non bastasse quelle che viviamo e sopportiamo.»
«E i cosiddetti best-seller?» insisto io.
«Certo che ci sono, strombazzati a destra e a manca, lasciano il tempo che trovano e nessuno se ne meraviglia.»
Il problema è un altro, conosciuto ormai, non c’è volontà alla lettura, ci sono mille altre distrazioni, si legge poco, si compra quel titolo perché si deve regalare a tizio o a caio che magari, dopo, lo ricicla in attesa del prossimo.
In altri paesi, lo sappiamo, la lettura diventa una componente dello stesso vivere, fa parte del loro tenore di vita, è abitudine come quando si va a tavola, è compagnia, se ne parla tra amici, cosa che qui, da noi, credo non avvenga.
«Ma in tutto questo c’entra o no il fatto che ci siano pochi euro da investire in un libro?» lo provoco ancora.
«Ne sono poco sicuro, quegli euro che dici, secondo me, ci sono ma vanno spesi in ben altro, vedi telefonini di ultima generazione, iPhone, iPad, tablet multimediali, diavolerie infinite e costose, da consumare e ricomprare, nuova post-civiltà che attrae e distrae giovani e meno giovani, eliminando la comunicazione interpersonale e instaurando un nuovo regno, quello del silenzio, dove la parola parlata e scambiata è abolita, assente.»
Non riesco a dargli torto e intanto entrano due probabili compratori, uno è il vecchio e ormai ex-direttore di un quindicinale politico culturale che ha sfiorato i quarant’anni di vita, chiudendone l’esistenza per mancanza, giustappunto, di pecunia, e l’altra è una signora, non più giovane che ha in mano un bigliettino.
Mi defilo, girovago tra gli scaffali, minebrio di carta stampata, avido come sono di scoprire novità o pubblicazioni vetuste mai sfogliate. L’amico ex-direttore mi confessa che vorrebbe riacquistare un libro ma non ne ricorda il titolo perché lo possedeva tanti anni fa ed ora l’ha perso, forse prestato, ma continuava a sbirciare nel buio dei suoi dubbi.
Intanto si avvicina alla cassa quella signora, posso leggere un solo titolo dei due libri che poggia sul banco: “Lezioni americane” di Italo Calvino, già letto e sempre da rileggere, dove la scrittura letteraria è spiegata in quelle sei famose lezioni che dovrebbero dar vita ad ogni buon romanzo ma che la maggior parte degli scrittori contemporanei ha ignorato.
Credo che Italo Calvino sia e resti esempio insostituibile, icona immortale e per la lettura dei suoi romanzi e per come li ha costruiti.
L’amico libraio ringrazia con un sorriso la signora, che saluta anche me e la commessa, intenta a riordinare libri sparsi qua e là..
«Vedi? – mi dice ancora – Calvino… e sono convinto che la sua non è una riscoperta, anzi rappresenta continuità, studio e ricordo, grazie a qualcuno che, a livello nazionale, ancora ne parla e speriamo non smetta. Difficile vedere uscire un autore di quelli alla moda, attuali e pure giovani e forse è meglio così o forse esagero. Alcuni professori universitari, che ascolto, sognano un ritorno alla grande dimensione letteraria italiana, quella di fine ‘800 e dei primi cinquanta, sessant’anni del ‘900, poiché dopo, dicono loro, c’è stato l’avvento del libro da consumare, privo di etica, di identità, pronto per esser letto e, in pari tempo, subito dimenticato. Ed esempi eclatanti sono i risultati dei famosi concorsi letterari nazionali, ovviamente i più celebrati, e ciò che provoca un certo fastidio è che molti di noi vanno in libreria solo per acquistare quel romanzo vincitore del premio x o y, dopo niente più, capito? E poiché sono anche un commerciante, il tutto va osservato nello specchio delle vendite o degli acquisti che si sono ridotti al lumicino e ricorda che io mi do da fare fuori e dentro questa piccola struttura, presentando libri e invitando persone comuni , insegnanti e finanche studenti che, a volte, rispondono all’appello.»
So quanto sia attivo questo libraio nella cui scia si sono allineate altre librerie del centro città che paiono boccheggiare quando alcune di queste chiedono anche aiuti ai lettori, invitandoli a manifestazioni promozionali che sanno, secondo me, di amarezza, di abbandono, di costrizione, ahimè!, e allora quel malumore altrui m’aggredisce, mi porta fuori dal senno normale, sempre che ne abbia uno.
Penso per conto mio, ma credo che la lettura – da sempre – sia vita, ricchezza e questa é anche facile da conquistare, da esserne fieri perché ci rende coscienti, colti ed umanamente comprensibili, a prescindere dalla lingua che si parla.
Sembra poca cosa ma mia nonna diceva sempre che i grandi palazzi si fanno e sono fatti da piccole pietre, magari pregiate e costose, ma comunque piccole.
Aprile 2014
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