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LA NAVE DELLA FOLLIA

di Gavino Puggioni

Sogno di una notte di fine primavera. Adattamento per un pensiero deformato. Una ballata dai tempi indefiniti. 14 giugno 2009

 

ATTO PRIMO

Alla fine di una giornata\ ombrosa, lacerante e travagliata\ ci trovammo tutti  imbavagliati\ e desiderosi\ nell’ansa dell’ipocondria\ dove, in acque appena smosse,\ ci aspettava la grande nave della follia.

Sulla terra avevamo lasciato\ ogni desiderio umano,\ progetti  anche raggiunti, poi dimenticati\ in un passato di vergogna\ perché non meritati.

Uomini e donne,\ giovani e anziani,\ meno male senza bambini,\ scalammo a perdifiato più di sessanta gradini\ di quella signora del mare\ e, cosa più importante,\ tutti senza pagare una lira,\ anzi non un euro di nuova fattura,\ tanto a noi non importava nulla\ della vita futura.

Urla e grida e svenimenti,\ gente normale all’apparenza,\ nessun pentimento, solo l’allegria\ di provare a mescolarsi\ con tutta quella genia\ di corpi umani indecenti\ inneggianti alla follia.

“La nave dei folli” – Hieronymus Bosch

Apparve il Comandante che pareva\ un forzato della Vita, un nullo ma tenente,\ un Gesù Cristo senza croce\ che non pregava ma sbraitava cantilene\ di nomi sconosciuti a cui tutti\ rispondevano presente.

Dopo, lui chiamò una madre meschina\ con le braccia al cielo\ ma un fulmine lo dissuase\ e se ne tornò, spaventato, in cabina.\  L’equipaggio era armato solo di presenza,\ senza scarpe e senza maglioni,\ tatuati e lestofanti,\ avevano solo un foglio arrotolato in mano,\ come a dire a noi, inebetiti e tanti,\ ora vi spieghiamo l’arcano!

Arrivò la pioggia che si mise a bagnare la coperta\ di quella nave, divenuta albero senza foglie,\ dai rami arrugginiti e macerati dal sole,\ dove ognuno di noi, impuniti, cercava riparo.\ Non si udivano lamenti, solo bisbiglii\ di parole afone, gettate all’aria quasi gelida,\ come per farsi compagnia, senza significato,\ giusto per far contenta la bandiera della follia.

“La nave dei folli” – opera satirica di Sebastian Brant

Una strana follia che vieppiù s’impadroniva\ di uomini, donne, giovani e anziani,\ imbarcati in quella nave ormai alla deriva.\ Si vedeva un cartello con scritto in grande\ ISOLA DELL’UTOPIA, SENZA DOMANI!

Applausi a scena aperta, danze sfrenate e canti,\ per l’allegria di trovarsi lì, a notte fonda,\ senza una luce, senza una stella,\ con le mani protese a cercare un’onda\ che desse un segno di vita non trovata,\ nonostante le raccomandazioni e le promesse\ di amici importanti, già assunti a livelli superiori\ di burocrazia, per  volontà di assurde votazioni\ che han vomitato, come al solito, vergognose situazioni\ di tranquillità appariscente\ che significava, per noi, sempre zero, uguale a niente.

Un signore vestito di ossa e carne trasparente,\ con abiti fuori misura,\ ingiuriava la nostra platea estasiata\ raccontando di quando faceva l’usura\ ai suoi stessi amici e parenti,\ privati pure di un tozzo di pane sotto ai denti.

C’era anche un ricco sfondato, così si diceva,\ che si chiamava Eleuterio\ e diceva di aver venduto\ terreni  e fattorie alla Costa Smeralda\ per milioni e miliardi.\ Ma  era poco serio\ e, per di più, ci pensava poveri e bastardi\

D’improvviso, col buio e il mare in tempesta,\ cominciammo a preoccuparci.\ Cessò la festa e ci rintanammo nei nostri corpi,\ senza guardarci, sperando nell’aldilà,\ quadro di un pittore famoso\ ammirato da tutti noi\ nella cabina-letto del Capitano pauroso\ che, come prima, scandiva proclami\ al suo equipaggio e ai suoi internati,\ giulivi della sua assenza\ battendo le mani.

La nave dei folli – film di Stanley Kramer, 1965

 

Un pensionato del Ministero dei Fannulloni\ chiese la parola e s’inerpicò su una poltrona.\ Buonanotte a tutti  voi – disse – io sono Cadreghino.\ Dopo quarant’anni lasciai\ il mio posto a mio nipotino\ che si era laureato con 110 e lode\ e nessuno lo voleva, poverino!\ Ci pensai io, allora, telefonando in Vaticano\ (non ve lo dico chi era, porca miseria!)\ era una cosa seria,\ fui ascoltato da un arciprete\ il quale, ma lo sapevo, telefonando al Presidente\ accontentò mio nipote che, come me,\ ora continua a far niente.

E NON VI MERAVIGLIATE, AMICI MIEI, DI QUESTA TRAVERSATA\ CARONTE E’ ANCORA LONTANO\ MENTRE IL NOSTRO PAESE CONTINUA AD ANDAR CONTROMANO!

Una voce esile, di donna consunta dagli anni,\ s’udì dalle ultime file degli scellerati.\ Sono una maestrina, dalla memoria veneranda … era commossa,\ parlava a mala pena ricordando le sue lezioni\ dal sillabario,\ le aste, le forme, le vocali, le consonanti\ per  incominciare…\ ed ora, adesso che trovano tutto sul cellulare…\ chi se ne frega degli insegnanti…\ senza chiedere aiuto e spiegazioni,\ si va per nozioni!\ queste sono le nuove generazioni!\ Quanta ignoranza ci sta vestendo – continuò la vecchina -\ ma confesso che poco me ne intendo,\ non seguo la moda e ne vado fiera!

Evviva la nostra maestrina! Urlarono gli astanti\ infreddoliti e stanchi di tanta fatica\ che loro stessi avean voluto, per partito preso,\ per  togliersi un peso,\ per far finta di esser pazzi,\ per ascoltare e vedere visi paonazzi,\ traditi e contenti della vita\ che aveva dato loro niente se non la coscienza\ di sapersi giudicare, certi di poter affrontare\ l’Infinito della loro pura e sana follia,\ imbarcati su una nave, quella di tutti,\ che poteva regalare momenti di vera allegria.

La nave dei pazzi – Mario Ortolani

ATTO  SECONDO

E la nave andava tra spume d’argento\ in un silenzio ansioso, come di tormento\ e nessuno vedeva o ammirava un semaforo\ che era spento nella via principale.\ S’era affacciata, d’incanto,anche la Luna piena\ a carezzar quei corpi rilassati,\ di gente che piangeva incuriosita\ da quella luce nel cielo che li guardava, allibita.

Un’altra voce, da lontano, da prua o da poppa,\ ruppe i singhiozzi di quella miseria,\ ma erano moti di spirito alternati a parolacce\ recitate in versi, a memoria,\ per  dimostrare\ a chi se ne intendeva la propria vanagloria.

E la voce s’amplificò quasi per magia.\ Ascoltate! Ascoltate! è quella dell’onorevole!\ che faceva fatica a parlare, scendeva dalle nuvole.

Alberto Biocca – La nave dei folli

Anch’io sono qui, colleghi miei, dopo quarant’anni\ dedicati al mio paese, sempre eletto da voi,\ deputato o senatore, sempre a vostre spese.\ Non ho avuto dubbi, mai, della vostra attenzione\ e fiducia, tanto che anch’io, come sapete,\ mi sono arricchito alle vostre spalle,\ viaggiando e discutendo,\ tra un angolo e l’altro del Transatlantico onorato,\ di quisquilie e di politica arrogante\ seppure prendendomi qualche vostra maledizione.\ Ma ne sono uscito sano e salvo, da quell’inferno,\ ed ora sono qui, in mezzo a voi, per farvi compagnia\ e per trascorrer i miei  ultimi giorni in allegria!

Che onorevole senza onore! esclamarono in parecchi.\ Avrebbero voluto torcergli gli occhi, disgraziato!,\ tanta  era la rabbia di chi l’aveva ascoltato, incazzato!

Ma il tutto passa, come il tutto ritorna,\ come i sogni, i desideri mai appagati\ assieme alla vergogna, questa sì, nascosta,\ per non aver approfittato di un viaggio regalato\ perché non c’erano i soldi per le distrazioni,\ per comprare fesserie e ricordini\ da portare ai cari nipotini.

Gustave Courbet – L’onda

Ma  tant’è, la vita è bella, diceva qualcuno,\ e noi che eravamo stretti  stretti e accovacciati\ in questa grande barca, in mezzo al mare,\ non ci accorgevamo di niente, non avevamo pretese\ se non quelle di ascoltare le nostre voci\ fuori dal coro, sempre attuale, \ mai registrate\ nell’assurdo silenzio di questo paese,\ dove l’indifferenza è arte sublime,\altro che Biennale!

Ora tocca a me, voglio parlare anch’io\ ammantato  d’oblio e di poesia.\ Non so che festa sia ma questa concione\ mi sta prendendo le vene dell’ironia\ a cui sono poco abituato.\ Già ,ma  lo sapete, io sono un diseredato,\ senza terra, senza confini di una regione\ che non ho mai abitato.\ Sono un apolide, quindi senza  bandiera,\ sono orgoglioso di tutto, meno del mondo che mi circonda,\ come conchiglia marina sbattuta di qua e di là,\ in attesa della prossima onda.\ Non ho altro da dire, ormai sono anziano\ e voi siete la mia essenza, la mia vita\ che deve essere ancora consumata, piano piano.

Che letizia, che goduria per gli imbarcati\ che avean udito finalmente parole sensate!

Però già qualcuno dormiva di un sonno profondo,\ come il mare che l’ospitava\ e che stava per divenire iracondo.\ Brusii e spostamenti di corpi ormai esausti\ per questo viaggio senza  fine\ e molti credevano di poter fare il giro dell’Universo,\ sempre gratis, attenzione!, \ col pensiero rivolto a quelli della terra, \ assai lontana, dove, dicevano,\ c’era ancora la guerra.

Questa guerra, l’altra, di sfollati da altre nazioni\ dove si vive di stenti, ammazzamenti\ e mutilazioni e non solo sugli umani.\ Basta guardare, scarniti, i loro corpi  e le mani\ che non sapevano più pregare, \ nemmeno il loro dio, scappato \ anche lui in altri lidi più sicuri\ e non ancora ritrovato.

Cigolando s’aprì la porta della cabina di comando.\ Apparve il Nocchiero con le carte di navigazione in mano.\ Che strano! pensarono i passeggeri rimasti in balia del tempo,\ sempre immobili, nell’attesa di scendere nel porto dell’utopia.\ S’avvicinò, il capitano, ad un tavolo rotondo\ dispiegando mappe a lui conosciute,\ ma lontane miglia e miglia per esser raggiunte\ con quella ciurmaglia di nulla facenti, \ occupatori della sua nave, impenitenti.\ Additò, con un bastone, un puntino nero\ disperso nell’Oceano infinito, dicendo:\ Questa è la vostra meta!\ Ma non era vero, \ era solo la pianta del Cielo e del Creato\ a cui lui non credeva, da rinnegato.

La verità, in fondo in fondo, quei disgraziati\ la toccarono da soli, in mezzo a mille burrasche,\ per giorni e giorni, tra la furia degli elementi\ liberati dalla Natura che voleva vendicarsi del genere umano,\ stolto o sano,\ non aveva importanza.\ La sua vendetta era una lunga spedizione punitiva,\ un lungo cammino, isolato, verso la Compagnia delle Menti Distorte,\ quel puntino nero\ che fa parte del nostro emisfero e non si nasconde mai.\ Anzi è sempre lì, disposto e ospitale\ verso tutti  quelli che come noi,\ vuoi per fobia, vuoi per allegria o millanteria\ avevano voluto provare quel viaggio senza ritorno,\ verso l’Isola della Follia.

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