ANTONIO LUCCHI – L’ARTE E IL FUMETTO
di Francesca Arca
Un semplice foglio racchiude in sé la magia di mille storie da raccontare. Da sempre incubo di scrittori e narratori, la pagina bianca, vuota e pulita, indica, all’interno dei propri margini, la direzione di tante strade diverse. Antonio Lucchi ha trasformato questo vuoto nella tavola in cui segnare il tratto di ciò che ama.
La via che congiunge il disegnatore sassarese al fumetto passa attraverso fasi differenti che hanno alimentato il suo estro, sedimentando strati di esperienza continua, in un percorso di evoluzione e rinnovamento dal quale nessun artista può prescindere. Partito dall’Istituto d’Arte di Sassari, Antonio Lucchi è sempre stato appassionato di fumetti e, come per quasi tutti i ragazzi cresciuti negli anni ’90, questa passione è coincisa con la lettura di una delle serie che hanno fatto epoca: Dylan Dog. Le atmosfere cupe, le tematiche sociali e le continue citazioni letterarie, musicali e cinematografiche dell’indagatore dell’incubo hanno in qualche modo cambiato l’approccio a questa forma d’arte, fatta di storie e volti, sfondi e corpi che sembrano prendere movimento grazie alla maestria e all’istinto del disegnatore.
«Dylan Dog è stato una sorta di spartiacque che ha cambiato il mio modo di intendere il fumetto, rendendolo qualcosa che andasse ben oltre il semplice svago o intrattenimento». Con queste parole esordisce Antonio Lucchi quando gli chiediamo qual è stato il momento in cui ha pensato che la sua passione potesse diventare anche il lavoro da intraprendere. Dopo essersi trasferito a Roma per studiare grafica tridimensionale e bidimensionale per videogames, Lucchi rientra a Sassari e, spinto anche dai preziosi consigli di Emiliano Longobardi – suo amico da sempre – con il quale collaborerà poi al progetto “Rusty Dogs”, si dedica alla grafica e al fumetto.
La vera svolta avviene quasi per caso, come spesso accade quando il nostro destino è legato a doppio filo a ciò che amiamo. La partecipazione ad un contest on-line e la pubblicazione di alcune tavole sul suo profilo Facebook fanno in modo che Paolo Di Orazio, notissimo disegnatore e scrittore, legato al genere horror splatterpunk, decida per primo di contattare Lucchi, dimostrando di apprezzare il suo talento. «Di Orazio non mi conosceva, ma ha dato fiducia al mio lavoro. E’ stata una bella opportunità. Poi c’è stato l’incontro con Paola Barbato che ha segnato il mio vero inizio in questo mondo. Collaboro con lei al progetto “Davvero” e in seguito, su consiglio di Matteo Bussola, faccio le prove per “Adam Wild” della Bonelli.»
Il fumetto è però una realtà meno semplice di ciò che appare. Siamo abituati a leggerlo tutto d’un fiato oppure lo sfogliamo in modo distratto. I più attenti, i veri appassionati, attendono l’uscita per poi ritagliarsi quell’angolo di tempo necessario ad immergersi tra le vignette, notandone anche il minimo particolare. Il rispetto per questa vera e propria arte dovrebbe portare il lettore a riflettere sul tempo che sceneggiatori e disegnatori impiegano per realizzare anche solo un numero. «Può passare anche un intero anno prima un albo veda la luce. E’ un lavoro lungo ed accurato – racconta Antonio Lucchi – si parte dalla sceneggiatura, la storia viene divisa in tavole e vignette e poi si arriva al disegno vero e proprio. Generalmente preferisco leggere l’intero districarsi della trama e lasciare che le immagini mi scorrano veloci in mente, prima di fermarle e dare reale corpo visivo allo svolgersi degli avvenimenti.»
Un anno di lavoro, di prove, di studio dei personaggi, della realtà storica in cui si muovono, regalano al lettore vignette perfette, accurate; piccoli quadri che nella loro totalità ci proiettano in una realtà differente. Ma il foglio scarno e pulito non sempre si rivela amico di coloro che devono riempirlo. Leo Ortolani, il grande creatore di Rat-Man, ha detto una volta che la pagina bianca ha dentro di sé ogni cosa ed è questo il motivo per cui si può avere timore davanti ad essa.
Antonio Lucchi conosce bene questa sensazione, che può afferrarti senza preavviso, anche quando la mente sembra sapere esattamente come procedere: «E’ come una specie di apnea. Ho sofferto davvero molto sulla carta. Le matite e le chine sono bellissime ma l’ansia di sapere che un piccolissimo errore, una sbavatura nell’inchiostro, un tratto meno sicuro del normale, possono rovinare un lavoro così lungo, mi creava un certo disagio. Sono riuscito a superarlo grazie all’uso del disegno digitale. E’ probabile che i puristi storcano il naso ma è una tecnica che può dare un approccio più intenso al lavoro. Ti dà la possibilità di cambiare a seconda dell’ispirazione del momento e sperimentare delle soluzioni grafiche che fino a quell’istante non avevi pensato. Si può aggiungere e togliere costantemente, fino a che non si raggiunge il risultato voluto in modo più rilassato, lasciando andare lo stress e concentrandosi solo su ciò che si vuole ottenere.» E Lucchi di risultati ne ha già ottenuto parecchi. A giugno la Bonelli ha dato alle stampe un nuovo albo della collana “Adam Wild” per la sceneggiatura di Gianfranco Manfredi e interamente disegnato dall’artista sassarese, che già in passato si era cimentato con lo stesso personaggio, succedendo ad altri grandi disegnatori come Nespolino, Perovic e Krstic.
La collaborazione con Manfredi, che ha vinto la scommessa puntando su un segno così diverso dagli standard “bonelliani” come quello di Antonio, si è talmente rivelata fruttuosa da dare a Lucchi anche l’opportunità di affrontare per la prima volta una storia interamente a colori, un albo unico di 126 pagine che la Bonelli Editore inserirà probabilmente nella collana “Le Storie”: «Sto lavorando con grande entusiasmo a questo progetto. Ho studiato molto la teoria del colore e sto facendo diverse prove per trovare le soluzioni che si adattino meglio al mio stile. Ci vorrà almeno un anno e mezzo prima di concludere. E’ una nuova sfida. La storia è ambientata nella Spagna del 1600, l’impronta è un po’ visionaria e onirica: il marchio di fabbrica di Gianfranco Manfredi. Ho fatto molte ricerche per riuscire a riproporre quell’epoca nel modo più fedele possibile, dall’abbigliamento dei personaggi fino alla bardatura dei cavalli. Quando si lavora su un fumetto di ambientazione storica non si può lasciare nulla al caso.»
La meticolosità, il talento e la serietà nella sua professione hanno reso Antonio Lucchi uno dei nomi emergenti più apprezzati nell’ambito del fumetto italiano e, a buon diritto, uno dei maggiori disegnatori della nostra isola. Davide Mariani, curatore di “Stato di Grazia, artisti e opere intorno a Grazia Deledda”, organizzata dal Consiglio Regionale a Cagliari negli scorsi mesi, lo ha voluto in una delle tre sezioni di questa importante mostra. Dopo un excursus sulla vita della grande scrittrice sarda, attraverso rare foto d’epoca e filmati storici, e dopo una parte dedicata agli artisti coevi – Ciusa, Biasi, Tavolara e Ballero – si è snodata la sezione “Visioni Contemporanee”, con l’esposizione di opere ispirate a Grazia Deledda e con Antonio Lucchi tra i protagonisti: «E’ stata un’esperienza di spessore, diversa dal mio lavoro usuale ma che mi ha dato comunque molta soddisfazione.»
L’impegno e la capacità pagano sempre, o almeno è così che dovrebbe essere. Chi fa arte in qualsiasi ambito conosce le difficoltà che si riscontrano nel tentativo di ritagliarsi uno spazio che arrivi ad un pubblico sempre più numeroso. Il fumetto non fa eccezione. La passione di Lucchi alimenta giorno dopo giorno il suo talento, alla ricerca di nuovi stimoli. «Bisogna guardare la realtà con il massimo interesse. Ogni volto, ogni gesto, possono essere fonte di ispirazione. L’ideale sarebbe riuscire a plasmare il proprio segno adeguandolo ad ogni nuova storia da raccontare, senza però perdere di riconoscibilità: cambiare il tratto pur mantenendo l’impronta personale, in modo che il lettore riconosca subito lo stile. Questo è ciò che vorrei ottenere dal mio lavoro.»
Sono ancora tante le tappe che la sensibilità dell’artista attento avrà la fortuna di raggiungere. Un lungo viaggio che noi lettori vedremo scorrere tra le tavole di un fumetto. Ogni volta tutto ripartirà da quel foglio bianco e se – come dice Ortolani – il bianco o lo si affronta davvero o nemmeno vale la pena di partire, sappiamo che ogni partenza di Antonio Lucchi ci vedrà tutti lì, ad attenderlo all’arrivo.
Articolo pubblicato per la prima volta su ANTAS, anno III, numero 12
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Grandioso!
Che artista!
Davvero un grande!