ASINARA – IL PARADISO RITROVATO
di Francesca Arca
Articolo pubblicato su “Antas” – anno IV – Numero 15 – Febbraio 2017
Il Paradiso Terrestre è quel luogo dell’utopia in cui l’uomo può possedere la bellezza e la pace che insegue lungo tutto il proprio percorso di esistenza. Questo è il motivo per cui è facile sentire l’utilizzo di questa locuzione – invero spessa abusata – nella descrizione di luoghi che non hanno ancora subito la violenza dell’essere umano, risparmiati dalla incontrollata smania dell’uomo di modificare tutto ciò con cui entra in contatto. Ogni Eden possiede la sua perfezione e da ogni Eden si viene allontanati.
E’ quello che è accaduto all’Asinara – isola in un’isola, paradiso perduto e per questo ancora più desiderato. L’Asinara non si palesa prepotentemente davanti agli occhi mentre si viaggia lungo la costa, non si concede allo sguardo distratto che si posa casualmente, non è una splendida donna che passa. L’Asinara ha lo splendore e il carattere di una femmina di Sardegna; quella Sardegna a cui appartiene ma dalla quale un lembo d’acqua gelosa l’allontana, rendendola in questo modo unica per sempre. Come una donna schiva e senza artifizi, l’Asinara bisogna desiderarla, cercarla e conquistarne la presenza.
La sua terra, aspra e dolce, che accoglie e sconcerta, è stata privata per lunghissimo tempo della carezza e dell’amore del passo lieve di colui che la scopre, con il desiderio di nutrire i propri occhi attraverso il fascino e l’intensità di un luogo irripetibile. Lontana dallo stereotipo vacanziero, dalle urla delle spiagge affollate, dalla mondanità del sole estivo, questa piccola perla compressa nella sua ostrica, è cresciuta attraverso storie e volti, alcuni intensi e terribili, altri paterni e consapevoli. Per oltre un secolo colonia penale, interdetta al pubblico, custodisce paradossalmente le tracce del passaggio di molte vite.
Narra la leggenda che Ercole ne sia stato sovrano. Le carte antiche raccontano di monaci medievali che la scelsero per sentirsi più vicini al paradiso vero, quello confinato troppo lontano dalla corporeità dell’uomo. La storia declina invece i nomi di chi ne ha vissuto le mura: per colpa, per lavoro, per malattia o per scelta. Qualcosa rimane sempre nelle costruzioni, negli arbusti, nella terra e nell’aria impregnata di salsedine, persino nello sguardo sereno e secolare degli asinelli bianchi che si muovono tra le colline dolci. Permane la fierezza dei prigionieri austro-ungarici durante la Grande Guerra, la maternità spezzata della figlia del Negus che sull’isola perse il suo bambino, le menti taglienti dei terroristi negli anni di piombo, l’occhio muto e silenzioso degli assassini di mafia.
Ogni storia si respira nel vento che spazza la costa, nel mare verde e limpido delle giornate estive e nelle onde spumose portate dall’inverno. Rimane scolpita in ogni pietra, e conficcata in ogni spina d’arbusto, la dedizione di coloro che custodivano tutte le vite che sono passate – lontani sopra un’isola figlia di un’isola, prigionieri senza esserlo, esattamente come l’Asinara: quelli senza nome, e quelli dal nome illustre. Perché questa parentesi in mezzo al mare, questa virgola di terra sconosciuta, ha guardato silenziosamente scorrere la storia, prodigiosa scenografia e teatro di natura vitale, luogo sommesso di miserie e virtù umane. Alcuni dicono che i pirati trovassero asilo nelle cale isolate, protetti dalla solitudine di un mare troppo bello per meritare dolore. Lo stesso mare che guardò affondare la corazzata “Roma” al largo di Punta Scorno il giorno dopo che l’armistizio rivelò la beffa della stupidità umana, trascinata per la seconda volta in un conflitto mondiale.
Ma alla natura poco importa delle storie dell’uomo, così abituata com’è a donarsi e rigenerarsi in un ciclo continuo di stagioni che non fanno caso alle persone. E’ l’uomo che deve saper contraccambiare l’armonia e l’incanto di questo luogo. L’ambizione del progetto del Parco Nazionale dell’Asinara nasce anche da questa esigenza, ritrovare un paradiso che per oltre un secolo è stato accantonato, “ripristinando soprattutto le condizioni naturali e ambientali, la vivibilità e l’efficienza delle infrastrutture di servizio, ma salvaguardando in particolar modo l’atmosfera e l’anima del luogo.” Queste sono le frasi scelte dall’Ente Parco per descrivere la filosofia che dirige un lavoro iniziato alla fine degli anni ’90 e che ancora continua con la passione e l’amore che l’Asinara merita.
Con la delicatezza riservata alle cose più preziose è possibile ora riappropriarsi di questa terra così vicina a noi e così lontana dal nostro tempo frenetico. Il Parco protegge le “specie vegetali che colonizzano il mediolitorale dell’isola e che sono osservabili soprattutto durante il periodo autunno-invernale” e difende le distese marine di Posidonia oceanica, caratterizzando così un “habitat estremamente importante in termini di consolidamento del sedimento, ossigenazione dell’acqua e biodiversità”. In un bacino geografico quasi del tutto antropizzato come quello mediterraneo, l’Asinara è diventata un luogo di forte interesse internazionale per il paesaggio, la geologia, la flora e la fauna che si sono potute conservare intatte senza che l’invadente presenza umana le potesse intaccare.
L’Asinara è ora una perla che ha abbandonato l’ostrica, una donna sarda che scopre le spalle e lascia cadere lo scialle, offrendosi con tenerezza all’abbraccio del mondo. Le visite guidate svelano già i colori tenui e quelli violenti, il rosso delle alghe, il grigio cangiante, le gradazioni di giallo e verde della macchia e dei lecci, e mostrano quante specie riescano a sopravvivere indisturbate in un luogo accogliente che si è fatto oasi di vita. I più fortunati potranno ammirare il volo del gabbiano corso, ormai raro e sottoposto a tutela, che trova all’Asinara il luogo ideale per nidificare. Niente verrà perduto e nulla si perderà. La natura riprende il suo posto preminente e si fonde alla storia. Sta infatti nascendo in questi mesi l’Osservatorio della Memoria della Diramazione Centrale che racconterà il vissuto dei protagonisti della vicenda carceraria con il recupero di oggetti di uso quotidiano, testimonianze epistolari, fotografie, interviste e filmati di repertorio.
Sono presenze discrete che appartengono a quest’isola straordinaria e che con essa si riconciliano ora che il Parco è un bene di tutti. La direzione del progetto è stata curata dalla Dott.ssa Deborah Carta, psicoterapeuta sassarese che ha prediletto un tipo di linguaggio emozionale e storico allo stesso tempo. Fabio Loi – scenografo e fotografo apprezzato anche fuori dai confini isolani – ha firmato invece gli allestimenti, avvalendosi degli interventi di illuminotecnica curati dall’esperto Tony Grandi. «Se la Sardegna fosse un essere vivente, l’Asinara sarebbe la sua mano. Perché ti afferra prima piano poi più forte. Me ne accorgo ogni volta che me ne distacco – ci ha raccontato Fabio Loi – perché spesso la bellezza delle cose si può cogliere guardandola dalla giusta distanza. Non mi stupisco più del fatto che chi chiunque lavori all’Asinara la senta profondamente propria. E’ un impulso istintivo che ti porta a voler possedere ciò che ami.» Il paradiso perduto ha riaperto le sue porte, l’Asinara non è più lontana ed è pronta a lasciarsi amare.
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